Il governo Letta è in stato confusionale sull’Iva. Quello che è certo è che aumenterà. Lo ha detto ieri il ministro dell’Economia Saccomanni al Senato perché con lo stop all’Imu costerebbe 8 miliardi e vista la crisi queste risorse «non sono rinvenibili». L’aumento dell’Iva potrebbe essere posticipato di tre mesi. Poi si dovrà pagare. Poi il ministro per le attività produttive Flavio Zanonato la giudica l’aumento «inevitabile» dal salottino di Porta a porta. Rispetto agli impegni presi dal governo è uno sgarro che non passa inosservato al presidente dei senatori Pdl Renato Schifani che coglie l’occasione per una battuta: «Zanonato dovrebbe coordinarsi con Saccomanni e non allarmi gli italiani».

Anche sull’Imu non c’è esattamente un’entente cordiale nel teatrino delle ombre del governo. Se per l’ultras Brunetta dev’essere cancellata «altrimenti il governo Letta non esiste più», Zanonato pensa di rimodularla «sulle abitazioni più normali, mentre la manterrei sulle abitazioni di lusso». Al momento in cui scriviamo l’arbitro Letta non è ancora intervenuto e non ha fischiato il fallo da rigore nel campo del Pd o in quello del Pdl, mentre Schifani – sempre sibillino – si chiede dove sia la «cabina di regia» sulla politica economica.

Nelle ultime ore Letta si è distratto per preparare il vertice di oggi con Francia, Germania e Spagna, antipasto del consiglio europeo del 27 e del 28 giugno che darà il via libera al piano straordinario contro la disoccupazione giovanile. La sua concentrazione è assoluta perché le sue carte se le sta giocando in Europa, mentre la sua maggioranza bisticcia sull’aritmetica e sui miliardi che non ci sono. Una confusione imperdonabile per un governo che solo 48 ore fa aveva promesso per sabato un decreto ambizioso, quello «sul fare», che richiama la poetica di un Oscar Giannino redivivo. Una dichiarazione che paradossalmente conferma l’impotenza in cui si sta muovendo l’esecutivo dal 28 aprile.

L’unica cosa certa è che il suo radar non ha percepito la proposta del segretario della Cgil Susanna Camusso che ieri, durante la seconda giornata del congresso della Cisl a Roma, ha chiesto di investire nell’economia reale i 12,9 miliardi di euro per l’acquisto degli F35. Tutto nella crisi è possibile, salvo ridiscutere la fedeltà atlantica e la salute dell’industria militare.

Nell’ormai mitico «decreto del fare», si ragiona su un piatto di lenticchie. Il decreto è una miscellanea di provvedimenti su giustizia, carceri, sviluppo e taglio del cuneo fiscale per due anni con il quale il governo vorrebbe spingere le imprese ad assumere giovani sotto i 30 anni, Si vuole stanziare un miliardo di euro, 400 milioni verranno dalla «Youth Guarantee» per i giovani, il resto dalla rimodulazione dei finanziamenti Ue. Questi fondi verranno usati anche per contrastare la povertà nel mezzogiorno e per finanziare la social card attualmente sperimentata in 12 città con oltre 250 mila abitanti. I destinatari saranno le famiglie povere con figli numerosi che riceveranno un sussidio di 400 euro, anche se non se ne conosce ancora la durata. Allo stato attuale è un provvedimento che distribuirà briciole e non servirà a risolvere nessuna delle emergenze epocali che intende affrontare. In compenso sarà uno spot disastroso per un «fare» che resta prigioniero del contenimento del deficit al 3% e della promessa del taglio del debito da 50 miliardi di euro all’anno per i prossimi venti.

I sindacati e le imprese stanno al gioco. Camusso ha chiesto agli associati di Squinzi di farla finita con i licenziamenti e di accettare l’obolo del governo. Le imprese, che hanno licenziato 1 milione di persone dall’inizio della crisi, dovrebbero accettarlo in nome della crescita. Squinzi però traccheggia tra una puntura di spillo a Letta, una martellata a Monti e una maledizione contro la riforma Fornero che ha imposto misure che «impediscono» agli imprenditori di assumere. Il ministro del Lavoro Giovannini ha ribadito che la riforma sarà modificata solo sui contratti a termine e l’apprendistato. Al resto ci dovrà pensare la crescita, sempre evocata e da molti esclusa. Nel «decreto del fare» non ci saranno le misure sul lavoro, ha assicurato ancora Camusso. Giovannini continua a non dare le cifre, ha confermato Bonanni della Cisl. L’austerità ha congelato tutto. Il letargo continua.