Un uomo sale in una macchina. Siede al volante. È vestito di nero, sulle spalle indossa una donna vestita di rosso. Parcheggia la vettura con ancora la sciarpa formata dalla donna vestita di rosso, in parte corpo esanime, in parte bambola di pezza. Vestito Rosso è l’anima dell’uomo o la sua parte femminile o il fardello implacabile dell’amore. L’uomo cammina in un prato insieme alla sua zavorra, un tutt’uno con lei. Continua a camminare, la donna ora sta appesa alle sue spalle come uno zainetto leggero, impercettibile.

L’uomo continua a camminare sull’erba, oltrepassa una barca tirata a secco, un quadro puro, la sagoma dell’imbarcazione, il cielo, la coppia formata da lui che porta lei che è come se non ci fosse. Adesso lui sta camminando nell’acqua, l’ansa di un fiume, acqua ferma, una laguna forse, anche le punte dei piedi della donna si bagnano leggermente. La donna è completamente rilassata sulla schiena maschile: un abbandono assoluto, abissale, sconvolgente, senza limiti. L’uomo sta salendo le scale di una struttura enorme circolare, un contenitore di materie prime probabilmente, un container nel vuoto sconfinato, sempre con il peso di Vestito Rosso sulla schiena. Attraversa dei binari. Ora la donna è in piedi sopra di lui, i piedi sulle spalle, l’uomo cammina nella terra in una landa desolata, il cielo ha nuvole basse che si avvicinano e loro si allontanano e sono una doppia persona una sopra l’altra.

L’uomo continua la sua disinvolta promenade: si siede su un tronco davanti a un fiume, in pausa riflessiva, a gustarsi il paesaggio. La donna a questo punto è tutta buttata a pancia sotto sulla testa dell’uomo, gli copre la vista, appoggiata sul suo viso come un copricapo peruviano, un burka o un velo di una sposa che gli ottunde il panorama che ha davanti. Ora sono sempre uno sopra all’altro, sono un albero accanto a un vero albero, confrontandosi in altezza.

Adesso l’uomo sta cogliendo delle margherite gialle facendone un mazzetto, forse per lei, con la donna in piedi sulla sua schiena che si tiene in equilibrio perfetto come la miglior trapezista del ventesimo secolo. Ora gli è di nuovo appoggiata sulla schiena ma solo su una spalla, passano sul fondo del fiume, tra i campi tra il grano e, l’amazzone a cavallo dell’uomo, camminano camminano. Costeggiano una palla eolica e lei è un fardello in equilibrio, il dolce volteggio di un violino sottolinea la leggerezza tra loro, il non peso del viaggio intrapreso. Arrivano a un faro, gli si mettono paralleli: due oggetti verticali che ascendono al cielo. Adesso sul molo camminano e lei sta abbracciata a lui davanti, è più corta quindi non tocca terra, è solo abbracciata a lui e lui cammina.

Il loro percorso è lungo, lei è foulard, legame, prolungamento del maschio, di sé, in alto, verso l’alto, verso il divino e lui cammina cammina cammina dalle rotaie ai tratturi già percorsi da altre persone, vetture, locomotori nello sconfinato vuoto verso l’infinito. Sono due ma sono uno sopra l’altro che invece di diventare due restano un uno composto da due corpi ma indivisibili fino all’orizzonte. Diventano minuscoli, alti alti come le pale eoliche, come il molo, come il traliccio elettrico, più alti della campagna, più alti del container, della fattoria, del campo, del bosco, più alti di tutto e di tutti.

Sur ton dos

Cortometraggio di 5’07” di Frédéri Vernier e Justine Bertillot (duo di acrobati danzatori francesi)

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