Sotto lo spettacolare murale realizzato sull’alta parete esterna del Cubo dell’Hangar Bicocca dagli artisti brasiliani Os Gemeos, una platea di sedie di plastica da giardino accoglie gli spettatori venuti ad approfittare delle due serate animate da due gruppi congolesi di base a Parigi, rispettivamente Hamba Petit Bokul de Viva La Musica e Les Anciens du Quartier Latin: niente invece davanti allo stage che ospita i set di elettronica, che qualche decina di metri prima, sul lato dell’Hangar, fa da contraltare all’essenziale palco allestito per le esibizioni a suon di soukous. Le sedie di plastica sono qualcosa di più di una risorsa assai utile per affrontare sei ore di musica senza soluzione di continuità, dalle 19 all’una di notte. Data la sede, deputata all’arte contemporanea, e l’ideatore delle due serate, proposte a corredo della sua esposizione Doubt (fino al 31 luglio), e cioè l’artista tedesco Carsten Höller, si possono prendere quasi come una installazione, in omaggio alla musica e al costume congolesi.

All’importanza delle sedie di plastica nell’economia dello stile di vita di Kinshasa, alla vera ossessione dei kinois per il sedersi e l’offrire indefettibilmente da sedere, dedica molta attenzione Elin Unnes nel suo reportage Carsten Höller «Fara Fara» – a Film Not Made (Humboldt Books 2015): notando che per chi balla per tutta la notte e lavora tutta la giornata, una serie di piccole sieste sulla sedia è la soluzione al problema del riposo; ma Höller le rivela anche un motivo più profondo, radicato nella tradizione, nella quale lo stare seduti era indice di status e di potere, da cui tutta un’arte dello sgabello, spesso portatile, in modo da non trovarsi mai a mal partito.

Fara Fara è il titolo di un film, allo stadio di abbozzo, realizzato assieme al regista svedese Mans Mansson, già visto alla Biennale d’arte di Venezia lo scorso anno e tra le opere presentate in Doubt: in lingala fara fara significa «faccia a faccia», espressione che serve ad indicare i duelli musicali in cui i due avversari si esibiscono su due diversi palchi e vince chi riesce a suonare più a lungo e a calamitare più pubblico. Con impressionanti immagini di partecipazione e delirio di massa e un cameo del compianto Papa Wemba, Fara Fara racconta una sfida omerica tra le superstar della scena congolese, Werrason e Koffi Olomide.

Mimare gli epici scontri fra gli dei dell’Olimpo del soukous con due serate all’insegna della concorrenza fra uno stage europeo e uno congolese non era per Höller una semplice trovata per amplificare la propria mostra: Höller è profondamente coinvolto dall’energia della musica congolese, di Kinshasa, dei suoi abitanti, al punto da confessare a Elin Unnes che se il film non è stato finito, forse è per avere ancora dei pretesti per continuare a tornare sulle rive del fiume Congo. Del ciclopico – per proporzioni della scena e statura divistica dei suoi protagonisti – universo musicale di Kinshasa lo affascina il carattere esteticamente ed economicamente autocentrato, e che sia tanto ignorato nel resto del mondo, e da vero agit-prop vuole farlo scoprire. Non a torto.

Ascoltando per ore Quartier Latin , con l’inebriante vocalità, individualmente o in coro a quattro per volta, di una mezza dozzina di cantanti, le scintillanti fibrillazioni della chitarra solista, le implacabili scansioni della batteria, i movimenti dei vocalist e delle due ballerine, era impossibile non pensare a cosa ci si perde con così poche occasioni di godere dal vivo della musica congolese. Assieme ai congolesi presenti, molti italiani hanno ballato, trascurando abbondantemente le sedie.