«Cerco sempre libri con grandi margini», annotava Edgar Allan Poe nei suoi Marginalia del 1844: sembra adeguarsi a questa sua esigenza l’edizione per ragazzi di alcuni suoi Racconti macabri illustrata da Benjamin Lacombe (Rizzoli, pp. 218, € 28,00) dove i testi, ridotti al centro della pagina, sono stampati su fondo bianco o nero. Una simile veste grafica sembra fatta apposta per ricordare ai giovani destinatari di questo libro che i racconti di Poe non possono in alcun modo lasciarci indifferenti. Presuppongono infatti la collaborazione di un lettore pronto ad attivarsi per riempire gli spazi bianchi con annotazioni e congetture, oppure per interrogare il buio della pagina nera che circonda la storia.

Sotto questo aspetto, gli otto racconti selezionati ci offrono subito un filo rosso per farci strada nell’oscurità: sono tutte confessioni di narratori impegnati ad analizzare gli enigmatici orrori di una vicenda che li ha travolti. Nel caso del «Ritratto ovale» o nel «Crollo della casa Usher», le voci delle storie si presentano come atterriti testimoni di potenze occulte che hanno vampirizzato il destino altrui; nel «Gatto nero» e nel «Cuore rivelatore», tentano invece di giustificare a propria discolpa i moventi del loro efferato delitto. Altrove i personaggi che raccontano cercano di decifrare l’ossessione monomaniacale che in «Morella» e nell’«Isola della fata» li ha resi schiavi di creature superiori, oppure li ha condotti a venerare, anche dopo la sepoltura delle donne amate, i denti di Berenice o gli occhi di Ligeia. Il mistero, in ogni caso, non risiede tanto nel tenore degli eventi, quanto nella prodigiosa tecnica di chi li ha architettati.

I larghi margini del dubbio
Sono sempre stato «nervoso – grida la voce del “Cuore rivelatore” – ma perché dite che sono pazzo?» Nessuno dei Racconti macabri, in effetti, potrà mai venire del tutto liquidato come la fantasticheria di un folle. Poco importa se l’oppio o le esoteriche letture hanno condizionato e nutrito le capacità immaginative dei diversi narratori, fino a ledere l’esaltata sensibilità dei loro nervi. Alle spalle di ogni possibile visionario si nasconde comunque uno scrittore come Poe, che sa benissimo quanto il terrore venga alimentato dall’incertezza e dall’ignoto, due forze indispensabili per scatenare sugli ascoltatori gli spettri di antiche «credenze». È proprio per sfruttare a fondo questa «regola» enunciata nella «Casa Usher», e puntare a un sicuro «effetto», che Poe si ingegna a lasciare aperto il margine del dubbio, varcando la soglia dell’irreale senza mai scadere nell’incredibile. «Niente è più logico e possibile di queste spaventose storie» assicurava Baudelaire, in un saggio riportato in chiusura dei Racconti macabri: «il lettore, avvinto dalla vertigine, è costretto a seguire l’autore nelle sue trascinanti deduzioni».

Se poi i giovani destinatari dei Racconti si dimostrassero inerti alla logica di Poe, a risvegliarli ci penserebbero le illustrazioni di Benjamin Lacombe, che con le loro atmosfere surreali si comportano come formidabili alleate della narrazione. Quando emergono dai margini come sinistre diramazioni del racconto, le immagini ci offrono l’emblema della storia (una dentatura, un cuore ramificato, un gatto privo di un occhio) oppure danno vita a bizzarre figure di passaggio (un barcaiolo, un oppiomane, una dama velata in cammino) che con i loro movimenti ci spingono a voltare pagina. Più spesso, però, l’arte di Lacombe si estende fino a occupare uno o due fogli interi per evocare specifiche scene madri del macabro. È in questo modo che l’illustratore arriva a disegnare vere e proprie trame parallele al racconto, che si incaricano di rovesciare a poco a poco la tetraggine di una iniziale «normalità» in un incubo delirante.

Lo sconcertante ribaltamento comincia dai camei e dai ritratti di famiglia, che in apertura della vicenda dispongono i personaggi in livide pose ottocentesche, per poi accompagnarli verso un’allucinata metamorfosi. Sotto i nostri occhi entrano allora in azione i demoni di un grottesco carnevale: il rampollo di un’antica casata, attraverso le immagini di «Berenice», si converte in un attonito adoratore di salme; lungo le tavole del «Gatto nero», un marito devoto si tramuta in un uxoricida intento a murare il corpo della consorte, di pari passo al rispettabile gentiluomo che poi, nel «Cuore rivelatore», diventa il carnefice del dirimpettaio. Più avanti, lo stimato compagno di scuola Roderick Usher si consuma nel corpo e nello spirito, una scena dopo l’altra, fino a impazzire sotto l’influsso di una maligna dimora, mentre sua sorella Lady Madeline, composta nella bara, riapre gli occhi dopo qualche pagina e lo assale sotto forma di ectoplasma. L’esile e raffinata Morella, infine, sviluppa tentacoli da insetto che avvinghiano il suo cavalier servente, prima che l’altera figura di Ligeia, in conclusione del libro, fonda il proprio corpo con un gufo, con un cigno nero e con un rapace dagli artigli mortiferi.

Colpevolezza dei libri
Non mancano elementi guida che possono soccorrere la nostra ricognizione in questa galleria degli orrori. Presenze quasi costanti del processo di trasformazione sono innanzitutto i libri, che Lacombe sparge un po’ ovunque sul letto di Morella o nelle stanze di «Berenice» e della «Casa Usher», come presunti colpevoli dell’espressione sconvolta dei protagonisti. Ma ancora più frequenti, nella maggior parte delle scene madri, sono i lumi a petrolio più volte chiamati a rischiarare le pulsioni necrofile degli innamorati e le psicosi degli assassini che osservano le vittime nel sonno, prima di disporsi a smembrare o disseppellire i loro cadaveri.

La scelta di Lacombe, che si impegna in tutti i sensi a fare luce sull’orrore, può costituire una risposta alla «regola» del dubbio seguita da Poe: vuole forse suggerirci che dietro al buio, una volta sollevata la cortina delle tenebre, si annidano davvero le distorsioni e gli abominevoli crimini di cui la nostra intima natura è capace. Eppure, anche così, c’è da ammettere che l’enigma suscitato dai racconti non viene esaurito.
«Un giorno – auspica l’uxoricida del “Gatto nero” – si troverà forse l’intelletto che ricondurrà i miei fantasmi» a una ovvia, «prevedibile successione di cause ed effetti». Chi può dire che fra i lettori di questi Racconti macabri, di qualsiasi età essi siano, non si trovi l’intelletto disposto a raccogliere ancora una volta la sfida.