Tanti anni fa distribuivano i cosmonocles, gli occhialini psichedelici targati Ufo Club,  occhiali da saldatore con lenti colorate e un prisma di vetro all’interno di ciascuna lente per deformare la realtà, per entrare meglio nel visionario universo sonoro-fantastico dei Pink Floyd. La strabiliante mostra retrospettiva The Pink Floyd Exhibition:Their Mortal Remains, tenutasi da maggio a ottobre al Victoria e Albert Museum di Londra, visitata da 300mila persone (ne ha scritto Roberto Peciola su Alias del….) ha offerto una profonda immersione nell’universo fantastico della band che ha cambiato il mondo della musica popolare, influenzato l’immaginario collettivo  e la cultura, fatto sognare diverse generazioni giovanili,vendendo oltre 200 milioni di dischi e portando i loro show tecnologici-multimediali in giro per il mondo, da Pompei a Knebworth, da Montreal a Venezia, fino alla storica reunion del 2005 per Live8.

La mostra, nata per celebrare i 50 anni di carriera- il loro primo singolo Arnold Layne è del 1967, anche se il gruppo suonava nei locali già da un paio d’anni –  il 19 gennaio arriva a Roma, al Macro (dopo il solito balletto di responsabilità della giunta capitolina che ha fatto slittare le date previste e arrabbiare i produttori americani della mostra che approderà poi a Dortmund nel settembre 2018) e fa da battistrada il libro appena uscito Their Mortal Remains (grande formato, 320 pagine, riccamente illustrato, Skira Editore, 55 euro), traduzione italiana del volume ufficiale e autorizzato, con foto, manifesti e documenti esclusivi, in gran parte inediti, pescati dal fondamentale archivio personale dei musicisti (e di numerosi collezionisti) con appunti, testi di canzoni, lettere, pagine di diario, opere d’arte, curato da Aubrey Powell, inizialmente alla squadra luci poi fondatore dello studio Hipgnosis (insieme con Storm  Thorgerson),responsabile per dieci anni delle creazioni artistiche della band  e componente del collettivo allargato che annoverava tecnici, ingegneri del suono, light designer, l’architetto Mark Fisher, il professore universitario Jonathan Park,  e la fucina di talenti che mettevano insieme per i loro fantasmagorici spettacoli dal vivo.

In copertina l’inevitabile ologramma del prisma attraversato dal fascio di luce arcobaleno, dentro il racconto dell’evoluzione del gruppo, dall’esordio molto bucolico inglese (tanto che inizialmente il gruppo con Syd Barrett e senza David Gilmour si chiamava Tea Set, il servizio da tè) fino al traghettamento sulle nuvole di Endless River passando per i saggi di autori brillanti (come Jon Savage, Howard Goodall, Rob Young) fino all’analisi cronologica degli album e delle colonne sonore originali.

Le «spoglie mortali» sono probabilmente la memoria cartacea e fotografica e le centinaia di oggetti, dai gonfiabili che volavano sul gruppo durante il tour di Animals ai proiettori modificati per gli spettacoli di luci, dal controllore quadrifonico del suono  ai bianchi schermi circolari o le chitarre lap steel Fender e tante altri trovate diventate famose come il maiale volante sopra le quattro ciminiere della Battersea Power Station, la mucca pezzata della copertina di Atom Heart Mother, i martelli che marciano per Another Brick in the Wall.

Così tre studenti (Nick Mason, Roger Waters e Richard Wright)  del Politecnico di Regent Street e  un alunno della scuola d’arte di Camberwell, Roger «Syd» Barrett  (poi rimpiazzato dopo il secondo lp da David Gilmour) vengono seguiti dall’esplosione creativa degli anni 1966-67, la stagione felice dell’underground londinese quando si esibivano  in uno scantinato di Tottenham  Court Road, l’Ufo Club, e i loro concerti erano magnifiche esperienze psichedeliche, con lunghe improvvisazioni strumentali, aiutate da colorati giochi di luci e innovazioni tecnologiche come reverberi, camera eco, svariati effetti sonori. Sono i primi segni del grande fervore creativo dell’epoca, diventato negli anni una complicata macchina spettacolare, un’esperienza che allarga l’area della coscienza e spalanca le porte della percezione grazie a  performance originali e inventive che oscillano tra i suggerimenti della musica contemporanea e le nuove possibilità della tecnologia parlando di noi, delle nostre paure e delle nostre speranze, contribuendo a mettere in scena la realtà quotidiana e trasportandoci in una terra migliore, con l’aiuto della fantasia e dell’elettronica.

Nonostante il loro distacco dal pubblico, puntando su scenografie e sonorità, i Pink Floyd  «hanno sempre preferito essere conosciuti solo per la qualità della loro musica e del loro modo teatrale di metterla in scena-scrive Powell – Album  come The Dark Side of the Moon, Wish You Were Here e The Wall sono stati opere d’arte intellettuali e musicali che hanno esplorato in profondità temi quali l’alienazione,  il benessere, l’infanzia, la guerra, la perdita, la separazione e la pazzia».

I loro indimenticabili brani, da  Careful with that Axe, Eugene a  Comfortably Numb, e poi Astronomy Domine, Set the Controls for the heart of the sun, Money, Us and Them,  Any Colour You Like a Dogs, Shine on you crazy diamond sembrano non risentire della polvere del tempo. E anche le loro sfortune, dall’uscita di Waters nel 1985 fino alle lunghe cause in tribunale e poi la scomparsa di Wright  nel 2008,non sono riuscite a intaccare il fascino di una rock band, unica e sorprendente.  Oi, oi ndemo veder i Pin Floi.