Dopo aver ascoltato l’intervento introduttivo del relatore generale, il card. Erdõ, verrebbe da dire che il Sinodo dei vescovi sulla famiglia – aperto domenica con la messa di papa Francesco – è già finito.
No alla comunione ai divorziati risposati, no alle convivenze e ai matrimoni civili se non sono orientati verso il matrimonio religioso, no alle coppie omosessuali ha detto Erdõ, chiudendo tutte le porte che avevano visto aprirsi qualche spiraglio, almeno su alcuni aspetti. Ed è forse per questo che in conferenza stampa il portavoce vaticano, padre Lombardi, ha precisato: «Il Sinodo comincia oggi, non finisce oggi».

Effettivamente è così. Il dibattito è cominciato ieri e le conclusioni si tireranno solo il 24 ottobre, quando verrà votata la relazione finale da consegnare al papa, che sarà l’unico a decidere, poiché il Sinodo è consultivo.
Francesco, durante l’omelia di domenica, ha invitato i vescovi al dialogo con la società: «Una Chiesa con le porte chiuse tradisce se stessa e la sua missione, e invece di essere un ponte diventa una barriera». All’interno però di un discorso che ha ribadito la dottrina tradizionale sul matrimonio («unione di amore tra uomo e donna, feconda nella donazione reciproca») e «l’indissolubilità del vincolo coniugale», ammonendo la Chiesa «a vivere la sua missione nella verità che non si muta secondo mode passeggere o opinioni dominanti».

Insomma, i paletti sembrano stretti. Inamovibili secondo Erdõ che, dopo aver illustrato gli elementi «esterni» che contribuiscono a disgregare la famiglia («cambiamenti climatici e ambientali», «ingiustizia sociale, violenze, guerre che spingono milioni di persone a lasciare la loro terra d’origine» e quindi a frantumare le famiglie, «salari così bassi» che ne impediscono la formazione), accusa soprattutto il «cambiamento antropologico», «l’individualismo», la fuga dalle responsabilità, la diffusione dell’ideologia del gender («teorie secondo le quali l’identità personale e l’intimità affettiva devono affermarsi in una dimensione radicalmente svincolata dalla diversità biologica fra maschio e femmina») e il riconoscimento delle unioni omosessuali («riconoscere alla stabilità di una coppia istituita indipendentemente dalla differenza sessuale la stessa titolarità della relazione matrimoniale intrinsecamente legata ai ruoli paterno e materno, definiti a partire dalla biologia della generazione»). Cosa deve fare allora la Chiesa? Usare la «misericordia che si basa sulla verità». Ovvero riaffermare la dottrina tradizionale a partire dalla «unione indissolubile del matrimonio tra uomo e donna».

Erdõ entra nel merito dei singoli punti caldi. I divorziati risposati non vanno assolti né ammessi ai sacramenti poiché è «la convivenza nel secondo rapporto che impedisce l’accesso all’eucaristia» (l’unica possibilità resta quella di vivere la relazione nella «continenza», senza rapporti sessuali). Non è ricevibile l’ipotesi di seconde nozze dopo un periodo di penitenza, come nella Chiesa dei primi secoli e nelle Chiese ortodosse. E non esistono vie mediane: «Tra il bene e il male non c’è gradualità».

Sulle coppie omosessuali non si discute. «Ogni persona va rispettata nella sua dignità indipendentemente dalla tendenza sessuale», dice Erdõ, ma «non esiste fondamento alcuno per assimilare o stabilire analogie, neppure remote, tra le unioni omosessuali e il disegno di Dio sulla famiglia». La «apertura alla vita» – la procreazione all’interno della coppia – è un’«esigenza intrinseca dell’amore coniugale» e non si può ridurre «a una variabile della progettazione individuale o di coppia». La contraccezione artificiale è bandita. Resta solo il ricorso ai «metodi naturali».

«Se vi aspettate stravolgimenti della dottrina resterete delusi», dice ai giornalisti il card. Vingt-Trois. Più possibilista il card. Forte, anche se lascia intendere che aperture sono possibili solo sul piano pastorale: «Non ci stiamo riunendo per non dire nulla. Le sfide ci sono e vogliamo affrontarle con responsabilità, intervenendo sulla pastorale». «Il Sinodo non è un parlamento, dove per raggiungere un consenso o un accordo comune si ricorre al negoziato, al patteggiamento o ai compromessi, l’unico metodo è quello di aprirsi allo Spirito Santo», spiega il papa. Insomma la strada pare tutta in salita.