«Non si respira». L’aria a Falconara Marittima, 26mila abitanti a nord di Ancona, ha un retrogusto chimico da sempre, un po’ più del solito da qualche giorno.

Da quando cioè nell’enorme raffineria dell’Anonima Petroli Italiana è avvenuto un incidente definito «minore» dall’azienda: l’intervento di manutenzione a un serbatoio, mercoledì della settimana scorsa, ha causato la fuoriuscita di liquami petroliferi. Il vento ha portato esalazioni e nuvolette di schiuma fino alle porte della cittadina. E così, da giorni, il centralino dei vigili del fuoco è sommerso di chiamate (si contano a centinaia) e l’Arpam ha deciso di far scattare i controlli, rilevando concentrazioni anomale di idrocarburi totali e di benzene, sostanza ritenuta cancerogena, la cui concentrazione nell’aria ha toccato un picco di 79.2 microgrammi per metro cubo, quando il limite sarebbe fissato a 28.75 microgrammi.

Le autorità, comunque, hanno provveduto a tranquillizzare i cittadini, per quanto possibile: la soglia di esposizione acuta giornaliera non sarebbe mai stata superata e l’unico consiglio è di aprire le finestre per far arieggiare i locali.

Tutto qui? Non proprio: il pm anconetano Marco Pucilli ha aperto un fascicolo sulla vicenda, alla ricerca di eventuali reati ambientali.

Per ora sono stati disposti soltanto alcuni accertamenti all’interno della raffineria, ma nella tenenza locale dei carabinieri è stata anche depositata una denuncia, e i cittadini continuano a fare la fila per firmarla. Le adesioni sono state oltre mille, in continua crescita.

Il Comune pure ha depositato una denuncia e ha già annunciato che si costituirà parte civile, nell’eventualità di un processo.

Non basta ancora. Mercoledì sera quasi trecento cittadini hanno affollato il Comune per assistere alla riunione aperta della Commissione ambiente, durante la quale è intervenuto anche il responsabile della protezione civile regionale David Piccinini.

«Avevamo pensato a un’evacuazione – ha detto –, non intervenire è stata una decisione sofferta di cui risponderemo». Sotto accusa, comunque, c’è l’Api, e Piccinini ha affondato il colpo: «L’azienda aveva classificato l’incidente come evento che rientrava nel piano di emergenza interno, ma i fatti hanno dimostrato che ha avuto conseguenze all’esterno».

Fin qui le spiegazioni d’obbligo, poi l’atmosfera si è scaldata parecchio quando la parola è passata all’assessore all’ambiente Matteo Astolfi.

Il suo discorso è stato sommerso dai fischi e soltanto all’ultima battuta è arrivata una notizia inattesa: la giunta ha dato parere «non favorevole» al rinnovo dell’autorizzazione integrata ambientale alla raffineria.

Un cambio di registro notevole per una giunta di centrodestra che in passato ha sempre difeso lo stabilimento e giustificato anche l’ultima svolta, qualche anno fa, quando nella raffineria si cominciò a produrre varechina, ritenuta dannosissima per l’ecosistema (vedi in calce la precisazione del Gruppo Api, ndr).

Ecco, l’amministrazione guidata da Goffredo Brandoni, adesso, vorrebbe poter dire stop, ma questa decisione non dipende dal Comune.

Non sarà la fine delle attività, dunque, ma il segnale c’è ed è chiaro: quella che negli anni è stata ribattezzata come «l’altra Ilva» e «Chernobyl delle Marche» non è più una presenza così gradita a Falconara Marittima.

L’eterno conflitto tra posti di lavoro e salute pubblica quasi non ha più senso: ormai nello stabile ci lavorano poco più di 200 persone, fino a pochi anni fa erano oltre 500, all’inizio del millennio quasi mille (vedi in calce la precisazione del Gruppo Api, ndr).

Le attività sono sempre più ridotte nell’unica raffineria italiana dell’Api, e allora i discorsi si spostano dal piano sindacale a quello sanitario.

Lo stesso ministero, d’altra parte, considera l’area di Falconara tra i 44 siti italiani a più alto rischio di contaminazione, con statistiche allarmanti che segnalano numeri sopra alla media nazionale per quello che riguarda i tumori al polmone.

«I pericoli sono sempre stati sottovalutati, anche in questo caso l’amministrazione da subito ha provato a minimizzare», denunciano le associazioni ambientaliste, e la memoria collettiva non cancella i due incidenti del 1999 e del 2004.

Nel primo caso, un’esplosione causò la morte due operai, nel secondo a rimetterci la pelle fu un camionista, in seguito a uno scoppio al deposito dei bitumi.

Lettera pubblicata sul manifesto del 24 aprile 2018

Buonasera,

L’articolo dal titolo “Falconara, paura per l’ennesimo incidente nella raffineria dell’Api”, pubblicato su “il manifesto” e sul suo sito web venerdì 20 aprile a firma di Mario Di Vito, riporta una serie di errori e inesattezze che necessitano di essere rettificati a beneficio dei lettori.

In primo luogo, si fa riferimento in maniera imprecisa ai dati sulla concentrazione di inquinanti nell’aria. L’articolo parla di benzene, “la cui concentrazione nell’aria ha toccato un picco di 79.2 microgrammi per metro cubo, quando il limite sarebbe fissato a 28.75 microgrammi”.

Non è così: il suddetto picco è relativo a un singolo rilevamento orario registrato alle ore 10.00 del 14 febbraio, ma le concentrazioni medie del benzene stimate dall’ARPAM per il periodo dell’incidente sono inferiori al riferimento qualitativo di esposizione acuta (1-14 giorni) per via inalatoria di 28,75 microgrammi per metro cubo che rappresenta il livello minimo di rischio per la popolazione generale per effetti tossici acuti indicato in letteratura (Agency for Toxic Substances and Disease Registry, “ATSDR”).

Si tratta del riferimento scientifico molto tutelante per i cittadini preso in considerazione dalle Autorità, così come riportato nei resoconti dei tavoli tecnici tenutisi in questi giorni, pubblicati sul sito web del Comune di Falconara Marittima.

Il secondo errore inspiegabile riguarda i lavoratori della raffineria.

Si dice che “ormai nello stabile ci lavorano poco più di 200 persone”. In realtà la Raffineria di Falconara ha resistito alla crisi degli anni scorsi (che ha portato alla chiusura di ben cinque impianti in Italia) e oggi impiega 358 persone direttamente, tra i 400 e i 500 contrattori impiegati stabilmente all’interno degli impianti, oltre a un indotto di circa 1000 persone nell’area circostante.

Anche l’affermazione per cui “Le attività sono sempre più ridotte nell’unica raffineria italiana dell’Api” non corrispondono a realtà.

L’impianto impiega in questi anni la gran parte della sua capacità totale di raffinazione. Recentemente ha anche introdotto la produzione di nuovi carburanti, come il gasolio marino a basso tenore di zolfo impiegato per diminuire l’impatto ambientale dei motori delle navi.

Infine, non trova riscontro nella realtà l’affermazione “nella raffineria si cominciò a produrre varechina, ritenuta dannosissima per l’ecosistema”. La varechina non è mai stata prodotta nella raffineria di Falconara.

Sull’episodio la Raffineria ha pubblicato recentemente un comunicato.

Siamo grati al giornale di voler correggere o rimuovere la versione online dell’articolo, per evitare che dati errati restino a disposizione dei lettori. Restiamo a disposizione per ogni chiarimento.

Un saluto cordiale.

Francesco Luccisano, Responsabile Relazioni Esterne Gruppo Api

La replica

Sull’alta concentrazione di benzene nell’aria, nell’articolo si parla di un picco, peraltro ammesso nella stessa replica, e poi si specifica che comunque le istituzioni hanno provato a tranquillizzare la popolazione parlando di una concentrazione media inferiore alla soglia di pericolo, ma, appunto, si parla di rilevamenti fatti su più giornate e non di picchi.

Sui lavoratori, i numeri della precisazione fanno una stima totale, mettendo insieme dipendenti a tempo indeterminato, a tempo determinato, altre tipologie di contratti e pure l’indotto: è innegabile che nel tempo il personale impiegato nella raffineria è diminuito, e non di poco.

Sulla varechina, per farla brevissima, il riferimento è ai trattamenti necessari nelle navi per ridurre le incrostazioni che si formano sulle condotte di aspirazione e restituzione a causa degli organismi marini. Questi trattamenti vengono fatti per lo più con ipoclorito di sodio, analogo alla varechina.

m. d. v.