Documentario e pedinamento della fatica smisurata di tre donne che portano bidoni d’acqua pesantissimi per viottoli montuosi nell’alto Marocco mentre i loro mariti giocano a carte. Una di loro ha anche il carico di un bambino in una fascia sulle spalle. Il loro respiro sempre più amplificato zittisce i suoni della campagna. C’è solo il verde, le loro teste con hijab e il loro stremato ansimare. Piano sequenza di quattro minuti e mezzo. Un’eternità. In cima però, troveranno Fadma, la cognata appena giunta in vacanza da Casablanca con marito e figlio, la quale, invece di acconsentire ad aiutarle, le inviterà a prendere coscienza del loro stato di sottomissione e sfruttamento. A unirsi e a scioperare, a non cucinare, a non fare più nulla e a gioire, pretendendo dagli uomini rispetto e diritti.

Non si può pensare a Fadma Even Ants have wings di Jawad Rhalib – tra i lungometraggi del Concorso Internazionale alla 61ma edizione del Festival dei Popoli, (che si è tenuto online su MYmovies fino al 22), e con la guida di Alessandro Stellino – senza risentire l’eco emotiva di questa scena, senza percepire il diseguale grado di evoluzione dei processi di liberazione delle donne nel mondo, come si trattasse di ere distantissime nel tempo eppure ancora compresenti.

E se questa storia può sembrare ingenua e retrograda – anche a causa del tono volutamente mai tragico della narrazione, quasi fosse un apologo – un simile snobismo è stato ed è quanto mai pernicioso: perché non c’è femminismo che abbia senso senza inclusione di tutte le donne, senza un procedere collettivo pur da punti di partenza differenti. Da tutte prima o poi attraversati.

Allo stesso modo restano memorabili le scene della negoziazione: a fronteggiarsi, sul tappeto, le donne da un lato gli uomini dall’altro. L’iniziale mediazione di Fadma, il suo denunciare l’enorme carico di lavoro delle cognate, il suo ribattere colpo su colpo all’ostruzionismo manipolatorio e ridicolo degli uomini (alla loro secolare sottovalutazione delle donne si riferisce il titolo secondo cui persino le formiche possono rivelare ali…), mentre il marito di Fadma, che in città l’aiuta, oscilla tra la paura delle reazioni dei fratelli e una timida intermediazione. Ma affiorano soprattutto le voci delle donne, dalla rassegnazione a una sempre più combattiva coscienza. Per non dire della macchina da presa: gli uomini le accusano di sentirsi più forti a causa di quella. E allora? Basta allearsi anche con il cinema.

E se nel potentissimo corto Una revuelta sin imágenes di Pilar Monsell, nel vuoto dei nomi e dei volti delle donne che il 6 maggio 1652 a Cordova insorsero e gridarono per il pane, a dire tutto è il vecchio granaio, scrigno di nutrimento e di speculazioni tra feudalesimo e capitalismo, e i ritratti ipnotici di donne del passato nella penombra di un museo, riflessi come comete in quelli delle visitatrici, con Fadma siamo nel corpo cinematografico-politico della rivoluzione: mentre la mano di lei bussa sempre più forte a ogni porta del paese. E ancora e ancora finché non sarà più necessario.