Trentasei rifugiati etiopi ed eritrei in sciopero da tre giorni allo stabilimento della Peroni a Roma. Si tratta di facchini che per la maggior parte lavorano da dieci anni per la cooperativa che con appalti annuali con la proprietà – passata dal 2016 ai giapponesi di Asahi Breweries – copre le mansioni di carico-scarico di casse e birre.
I lavoratori – tutti iscritti al Si Cobas – protestano per le «insostenibili condizioni contrattuali». «Buste paga sbagliate che non rispettano le ore e il contratto, turni come se fossero lavoratori a chiamata», denuncia il Si Cobas. «Da ottobre chiediamo la piena applicazione del contratto nazionale ma la cooperativa che aveva firmato l’impegno ha iniziato a parlare di licenziamenti. Contrariamente all’accordo che prevedeva una lista rispetto all’anzianità di servizio, la cooperativa ha deciso di assumere tre tempi determinati, fra l’altro tutti italiani», continua il sindacato.
La cooperativa in questione si chiama Masterjob. Tutti i lavoratori risultano soci. «Fin dall’inizio abbiamo capito che si trattava del classico caso in cui una piccola cooperativa schiacciata dalle condizioni fissate da una multinazionale come Peroni», sottolinea il Si Cobas.
La Peroni, a cui lo sciopero ha creato molte difficoltà, è intervenuta con una nota ufficiale in cui scaricava tutte le responsabilità sulla cooperativa Masterjob: «I lavoratori che hanno sciooperato davanti al nostro stabilimento non sono dipendenti di Birra Peroni ma sono assunti dalla cooperativa Masterjob. Tutti gli eventuali problemi contrattuali di questi lavoratori dipendono solo e unicamente dalla cooperativa».
«Peroni non si può chiamare fuori – risponde il Si Cobas – da dieci anni l’appalto è continuativo con la stessa cooperativa e gli stessi lavoratori».
Ieri invece è stata la Masterjob a tentare di smentire l’uso di fissare i turni a chiamata con scarso anticipo. Ma il Si Cobas ha prontamente mostrato le schermate dei messaggi Whatsapp in cui venivano comunicati i turni ai lavoratori con 12-24 ore di preavviso.
La cooperativa nei giorni scorsi aveva tentato di far firmare ai soci lavoratori – senza il sindacato – uno «stato di crisi» in cui si prevedeva di poter lavorare in deroga ai contratti. Addirittura vi era scritto: «Il piano di intervento potrà prevedere forme di apporto economico, anche sotto forma di riduzione del trattamento economico e/o imputazione a capitale sociale di una quota delle retribuzioni, nonché in forma di lavoro gratuito». Tentativo respinto dai lavoratori nella assemblea dei soci.
La particolare condizione di rifugiati non vale per tutti i lavoratori. E il licenziamento mette a rischio alcuni di loro. «Almeno sei lavoratori hanno un permesso per ragioni umanitarie e non potranno rinnovarlo senza il contratto di lavoro: uno di loro sta avendo già difficoltà a rinnovarlo», sottolinea il Si Cobas.
Domani si terrà un corteo di solidarietà ai lavoratori con partenza alle 13 e 30 da piazza De Cupis fino ai cancelli della Peroni di via Birolli, zona Collatina, periferia est di Roma.