Dietro ogni oggetto c’è una storia: un concetto messo in scena più volte dalla compagnia teatrodelleapparizioni fondata da Fabrizio Pallara. Dal 1999 ha proposto spettacoli tout public, ovvero per una platea che includa l’infanzia come l’età adulta. Affidatagli la curatela della stagione «Giovani Generazioni» dello stabile di Roma presso il Teatro Torlonia, Pallara ha dovuto rimodulare le attività previste in seguito all’emergenza. Nasce così Fatti a mano, una serie di appuntamenti online in cui artisti provenienti da diverse discipline mostrano come costruire degli artefatti, passando dalla cianotipia alla rilegatura, dalla stampa al ricamo. All’origine della proposta c’è una riflessione sul momento attuale, come ci ha raccontato il suo ideatore: «Questo progetto rappresenta la volontà di mantenersi in connessione con quanto il teatro ci dovrebbe ricordare, ovvero che è attraverso il corpo che facciamo esperienza». Situazione epidemiologica permettendo, i laboratori dovrebbero essere poi riproposti in presenza l’8 e 9 maggio al Torlonia, in due giornate che prevedono anche l’esposizione dei lavori realizzati a distanza in questi mesi.

La costruzione artigianale degli elementi scenici è un elemento importante per la sua compagnia. Che significato dà agli oggetti «fatti a mano»?
Oggi che il corpo è messo in secondo piano, poter costruire con le mani degli oggetti d’arte è un atto fortemente connesso al teatro e a tutto quello che ci è stato negato da un anno a questa parte. Pensando anche all’attività della compagnia, il rapporto tra digitale e artigianato, quindi tra presente e passato, è una chiave importante per costruire la base, la terra su cui poter costruire il futuro.

Che relazione vede tra un oggetto e una storia? Come viene vissuta da un bambino o una bambina?
I bambini lo sanno meglio di noi perché nella prima fase della loro vita conoscono attraverso il tatto, che per gli adulti è un senso trascurato. Un oggetto può assumere diversi significati, ha un potere simbolico enorme e la magia indica proprio la possibilità di metterci in contatto attraverso il corpo con un artefatto. Naturalmente siamo noi a conferire il potere magico con una modalità rituale, religiosa in senso laico. Tutto ciò permette di raccontare una storia ed è evidente nel gioco simbolico dei bambini, quando danno voce agli oggetti o diventano essi stessi oggetti. Sono enti che permettono loro di fare grandi passi verso lo sviluppo come sostiene lo psicoanalista Winnicott con il concetto di oggetto transizionale.

Quali sono i presupposti per proporre un’esperienza significativa sia ai bambini che agli adulti?
I laboratori di Fatti a mano non sono facili, non volevamo soltanto intrattenere i bambini o lasciarli davanti a uno schermo. L’idea era invece quella di proporre un’attività che per essere realizzata avesse bisogno della mediazione pratica di un adulto; così anche quest’ultimo vivrà un’esperienza che difficilmente avrebbe avuto senza la presenza del più piccolo. È lo stesso meccanismo che avviene a teatro: il bambino ha bisogno dell’adulto per andarci, ma una volta lì anche l’adulto assisterà a qualcosa che gli parla in maniera più potente grazie allo sguardo di un bambino accanto.

Che idee ha per la stagione «Giovani Generazioni» e cosa spera di poter realizzare nel prossimo futuro?
È importante che si crei una relazione profonda con il luogo in cui il Teatro Torlonia si trova, ovvero il parco. Il teatro deve aprirsi allo spazio pubblico circostante. Proporremo delle attività che si svolgeranno in un luogo di mezzo: né dentro né fuori ma sul confine. Vorrei portare anche degli spettacoli pensati per l’adolescenza, una fascia d’età trascurata nelle programmazioni.