maniscalco

Oro dentro di Giovanni Rispoli e Laura Sudiro (Skira, pag.187, euro 16) è la storia di un eroe civile del nostro tempo. Protagonista è un archeologo che merita di essere ricordato per aver inventato un genere originale, quanto mai essenziale in una stagione come questa: la tutela dei beni culturali nelle aree di guerra. Un’attività rischiosa, come può essere quella di un reporter o di un attivista per i diritti umani, nella quale Fabio Maniscalco ha riversato tutto se stesso, spostandosi tra la Bosnia e l’Albania, il Kosovo e la Palestina con l’obiettivo di provare a strappare gioielli architettonici e monumenti di alto valore artistico e storico, target civili esposti alla barbarie dei bombardamenti o delle distruzioni per vendetta.

Il libro ricostruisce con dovizia di particolari e uno stile narrativo fluido e vivace la vita del giovane archeologo, sempre in movimento da un fronte all’altro, mettendo a repentaglio la vita durante l’assedio di Sarajevo o infiltrandosi nel mercato nero delle opere d’arte in Albania. Nei non rari intermezzi Maniscalco si ferma nella sua amata città, Napoli, impegnato nella riscoperta delle antiche ville sommerse di Baia o a scrivere un volume sul saccheggio dei musei e degli edifici di culto della città, negli anni Settanta e soprattutto dopo il terremoto dell’Ottanta. Diventato un pioniere della tutela dei beni culturali nelle aree di conflitto, riceve elogi e pacche sulle spalle dai suoi superiori e da politici di governo, senza però che l’esercito italiano, al termine del periodo di ferma provvisoria, gli chieda di rimanere per proseguire la sua attività, assicurandogli la dovuta protezione. Ma lui non si arrende: coinvolge l’Orientale di Napoli e l’Al Quds University in un progetto di tutela del patrimonio palestinese (nel quale prova a coinvolgere pure alcune ong, tra le quali l’Arci): la sua idea è di esporre uno Scudo Blu sugli edifici a rischio in Cisgiordania e nella Striscia di Gaza. Siamo nel periodo della seconda Intifada e quello sarà il suo ultimo fronte.

L’ultima battaglia, la più insidiosa, comincia nel 2006, contro un male terribile che pian piano lo stroncherà. Le analisi sono impietose: nel suo corpo sono depositate le tante scorie delle guerre affrontate a mani nude e senza mascherina. I medici trovano nel sangue persino dell’oro. Fabio Maniscalco è sopravvissuto alle pallottole e ai bombardamenti, ma è indifeso nei confronti di un nemico più subdolo: l’uranio impoverito che in Bosnia e Kosovo era dappertutto, disseminato in gran quantità dai caccia della Nato per penetrare le corazze dei tanks. All’epoca lo hanno respirato in tanti, in primo luogo le popolazioni locali, ed è come viaggiare con una bomba in corpo che esploderà a scoppio ritardato.

L’archeologo si ammala come da manuale per le vittime del terribile metallo, circa un decennio dopo il suo primo viaggio nei Balcani. Ma per i militari che gli hanno dato il benservito non sarà accertabile il nesso di causa-effetto tra l’esposizione a sostanze nocive e il male che l’ha portato via poco più che quarantenne. Da ultimo un’importante sentenza ha condannato lo Stato a risarcire un militare ammalatosi e questo potrebbe aprire la strada a tardivi rimborsi. Ma qualsiasi cosa accadrà, nulla potrà ripagare Maniscalco per la delusione subita in vita di esser stato ripagato, per la sua pionieristica attività, con un benservito. Il merito degli autori del libro è di aver restituito almeno dignità al suo lavoro. Non ci fossero stati loro a tirarla fuori, questa storia italiana sarebbe sprofondata nel dimenticatoio.