A COME ASSENZA
Vent’anni senza Fabrizio De André. Può essere assenza anche la museificazione e santificazione del personaggio, o, opposto snobistico, sparare sul cantautore, cercando di evidenziare quei difetti che lui era il primo a riconoscersi. Resta l’assenza. Il giorno del funerale genovese di De André, sulla piazza di Carignano, all’uscita della bara un gabbiano ha stretto un largo, vaporoso cerchio di volo sui presenti. Poi è volato via. L’Assenza se l’era scritta e prevista anche da solo, in Anime salve, altra «A»: «Mi sono visto di spalle che partivo». Poi c’è la A di anarchia, anzi, Signorina Anarchia, praticata come rigore morale (e aiuto concreto agli anarchici) per tutta la vita, senza troppa pubblicità. Soprattutto per sé stesso.

B COME «BOCCA DI ROSA»
Come Marinella, Prinçesa, Jamin-a, e sarebbero da aggiungere anche Nancy e Susan dei marinai, (nome preso a prestito dal suo specchio anglosassone, Leonard Cohen, una canzone allegra il cui testo fu regalato da De André a Michele Maisano), e tutte le «signorine» di A dumenega che sbugiardano la buona borghesia genovese. In ogni caso, sotto la B di Bocca di Rosa, raggruppiamo tutte quelle creature, nate femmine o no («Lascio l’infanzia contadina/Corro all’incanto dei desideri/Vado a correggere la fortuna», dice di sé la trans di Prinçesa) che pagano sempre e solo uno scotto, vendendo il proprio corpo: un mondo costruito a misura del potere maschile, non delle donne.

C COME «CRÊUZA DE MÄ»
Ma, naturalmente. Il disco degli umori mediterranei. Lasciamolo dire a lui: «Altro che Cee e Nato: noi apparteniamo anima e corpo al Mediterraneo. Bisogna guardare ad Algeri e a Istanbul che ci sono vicine e, che, in qualche modo, anzi in moltissimi modi, fanno parte del nostro passato. Altro che Chicago o Londra. È meglio essere primi qui, nel nostro mondo, tra gente che è simile a noi, anziché fare sempre gli ultimi arrivati con il mondo anglosassone…». Quando ha scritto con Mauro Pagani la storia delle «mulattiere di mare» (che forse sono anche, assai poeticamente, un vento di terra che increspa le onde dalla riva al mare aperto, come dicono nel ponente di Genova) De André ha riassunto quanto Matvejevic, Abulafia e Le Goff hanno detto in tomi ponderosi. E Pagani ha ri-creato una ur-musica mediterranea che ha stabilito un nuovo canone.

D COME «DOLCENERA»
La canzone sul disastro della prima grande alluvione di Genova, quella dell’ottobre del 1970, con la città violentata dal fango nerastro, i ragazzi con i capelli lunghi a dare una mano come a Firenze nel ’66, e un amore folle, forse ispirato dalla lettura di Abdul Bashur, sognatore di navi dell’amato Mutis. Un amore che resta tra sogno e realtà raccontato in mezzo al disastro. Il primo di tanti altri per Genova. Una purissima canzone d’autore cui è stato reso tributo dal Gruppo Spontaneo di Trallalero di Genova, che l’ha debitamente «trallalerizzata» secondo le procedure dell’antico canto polifonico, con un arrangiamento a dir poco perfetto di Giuseppe Laruccia, ottenendo un capolavoro.

E COME «E FU LA NOTTE»
Il lato A della primissima incisione di Fabrizio De André, 1961. Naturalmente dedicata alla fine di un amore. Sul lato A c’era Nuvole barocche: entrambe le canzoni più volte ripudiate da Faber, e relegate con un certo fastidio nella categoria «peccati di gioventù». Eppure, a riascoltarli, i brani, hanno quell’intensità ariosa e classicheggiante che avevano le musiche scritte da Umberto Bindi, che firmò entrambi. E qualcuno scrisse, all’epoca, su un quotidiano genovese: «La sua Nuvole barocche è una bella canzone di oggi, e Fabrizio un esponente felice della “nouvelle vague” anti urlo».

F COME «FIUME SAND CREEK»
La canzone contenuta nel disco senza titolo che tutti chiamano L’indiano, perché in copertina c’è un celebre dipinto di Frederic Remington. Storia di un massacro orrendo, il 29 novembre 1864: una carneficina di donne, vecchi e bambini massacrati dalle Giacche azzurre, mentre credevano di essere sotto la protezione dei soldati . È il decimo disco di Faber, il primo dopo il rapimento in Sardegna, e scritto a quattro mani con un autore decisamente interessante, Massimo Bubola. Coloriture da folk rock psichedelico, echi pinkfloydiani. Per costruirla, full immersion di Faber e Bubola nella storia recente degli indiani d’America rivista con gli occhi dei cineasti radical (Soldato Blu, Piccolo grande uomo, Un uomo chiamato cavallo), e letture come Seppellite il mio cuore a Wounded Knee e Alce Nero parla, indispensabili in quegli anni. Con un forte parallelo, anche, con la storia dei sardi, per scelte ecologiche ed esistenziali comuni.

G COME GENOVESE
Il genovese al contempo immaginario e concreto che De André sdogana per il suo disco dedicato al Mediterraneo, e che tornerà ad usare in molte canzoni che di Crêuza rappresentano una sorta di strascico poetico. De André amava il suono delle parlate «altre», perché riteneva, a ragione, che l’uniformità astratta delle lingue dominanti e borghesi poco avesse a che fare con la verità profonda delle parole. Oltre al genovese e al gallurese di Zirichiltaggia, cantò in tante altre lingue e dialetti, reali o quasi inventati che fossero: il napoletano di Don Raffaé e del ritornello di Avventura a Durango e de La nova gelosia, il tedesco parodico e grottesco di Ottocento. Nel 1995 De André collaborò con i Troubaires de Coumboscuro cantando in provenzale occitanico la splendida Mis amour nel disco, da riscoprire, A toun souléil. Non è finita. In Effedia trovate Bella se vuoi volare, parte in italiano, parte in milanese, Maria Giuana, in piemontese, e in spagnolo Cielito lindo, il valzer di Quirino Mendoza y Cortés del 1882. In spagnolo Faber canta anche la sua Smisurata preghiera, «Desmedida plegaria», nei titoli di coda del film tratto da Ilona arriva con la pioggia.

H COME «HOTEL SUPRAMONTE»
A simboleggiare lo spazio di bosco e la tenda dove furono tenuti nascosti e incatenati Fabrizio De André e Dori Ghezzi nel rapimento in Sardegna, dal 27 agosto del ’79 al 20 dicembre. Hotel Supramonte nacque in realtà come canzone di Massimo Bubola, e dedicata dal cantautore lombardo a una difficile storia d’amore. La propose a De André, e dal racconto incrociato dei ricordi della quotidianità dei giorni di prigionia e dei suoi difficili momenti, nacque il brano come lo conosciamo oggi. Questo spiega alcune incongruità del testo, poeticissimo, che non possono riferirsi a un habitat sardo.

I COME I QUELLI
Nome trasandato e beat originario di un gruppo destinato a maturare ben altri successi, La Premiata Forneria Marconi, cogliendo il frutto proibito del matrimonio tra canzone d’autore e progressive rock. I Quelli avevano in formazione, come cantante, un artista che avrebbe intercettato altre fortune:Teo Teocoli. I Quelli in studio sono bravi musicisti che, alla Ricordi, a partire dal ’69, aiutano i grandi a dar spessore musicale alle canzoni: Lucio Battisti, Mia, Celentano. Poi arriva la collaborazione con De André: per La buona novella, in studio anche Gian Piero Reverberi e, fatto poco noto, un giovanissimo Angelo Branduardi al violino. È lì che nasce l’amicizia con Mauro Pagani, ritrovato poi per Crêuza de mä tanti anni dopo, e il percorso che porterà agli sfavillanti arrangiamenti della Pfm per le canzoni di De André in concerto, quando Faber scoprì che un po’ di energia rock non guastava, alla vecchia provvista di canzoni.

J COME JAZZ
Bisogna tornare alle origini di Fabrizio De André. Alla seconda metà degli anni Cinquanta genovesi. Fabrizio De André, adolescente, ha in mano una chitarra, e assieme a Luigi Tenco suona nel Modern Jazz Group. È entrato ufficialmente nel gruppo di ragazzotti del quartiere della Foce perché lì è andato a vivere, dopo la parentesi da borghese sfollato ad Asti. Alla Foce si leggono libri belli e proibiti, si vanno a vedere i film e gli spettacoli teatrali nuovi, si ascolta il jazz. Ad esempio quello di Paul Desmond con Dave Brubeck, modello del gruppo. E qui parte il paradosso: il De André maturo, ansioso e perfezionista quando è sui palchi, per non deludere quella gente che lo idolatra, non tollera neppure una briciola di improvvisazione jazz. Celebre la frase per Giulio Capiozzo, il batterista scelto per il tour di Crêuza de mä, poi accantonato per Ellade Bandini: «Belin, il jazz mi piacerebbe molto, peccato per tutte quelle improvvisazioni!». E Pagani: «Per Fabrizio un concerto era una ripetizione di uno schema che non doveva avere variabili. Se cambiavo qualcosa, finito il concerto Fabrizio mi girava attorno e poi mi diceva: “ma lì, nell’introduzione di Sidún, cos’è successo?” – “Fabrizio, ho fatto una variazioncina, sai com’è” – “Sì, bella, Eh! Però, hai presente quello che c’è sul disco? Era così bella, l’hai fatta tu, non ti dico di fare una cosa che ha fatto un altro, l’hai fatta tu! Allora fai quella lì, dai!> . Finiva sempre così».

K COME KARIM
La prima etichetta discografica di Fabrizio De André, che pubblica per la label diciotto canzoni tra il 1961 e il 1966. In origine 45 giri, un brano per lato, poi raccolte dalla Karim sulle compilation Nuvole barocche e Tutto Fabrizio De André. De André fu anche il primi artista pubblicato: la cronologia dell’etichetta assegna all’ottobre 1961 un clamoroso Zanzara Cha cha cha di Anna Grilloni, e Nuvole barocche di Fabrizio De André. La Karim nasce per trasformazione di una precedente etichetta discografica,specializzata in 78 giri, Lo Specchio della Voce. Pubblicò diversi ellepì e oltre duecento 45 giri. Vi lavorò come produttore anche Giorgio Calabrese, e finanziatore fu il professor Giuseppe De André, padre di Faber. Sparì nel 1967: fallimento, e tutto il catalogo rilevato poi dalla Roman Record Company. Arrivò anche una causa intentata dal fratello di Fabrizio, Mauro, per mancata corresponsione di parte dei diritti d’autore a Fabrizio De André. Soldi che, a quanto pare, De André non recuperò mai, perché la casa accusò a sua volta De André di essersi già accordato con un’altra casa discografica. Un’altra K importante per Faber: Reinhold Kohl, fotografo d’arte tedesco con base a Massa, autore degli scatti per Fabrizio De André… in volo per il mondo. Fotografie scattate tra la fine degli anni Settanta e l’inizio degli Ottanta: ad esempio a Amburgo nell’82.

L COME «LA BALLATA DEGLI IMPICCATI»
Su Tutti morimmo a stento, 1968, scritta assieme a Giuseppe Bentivoglio per i testi, a Gian Piero Reverberi per la musica. Un riferimento alla Ballade des pendus di François Villon, uno a un terribile articolo letto anni prima sulla condanna a morte per impiccagione nel Sudafrica dell’apartheid di otto neri, che nell’agonia scalciavano l’aria con i piedi. Uno dei testi più feroci scritti da De André sulla fangosa ipocrisia della condanna a morte di esseri umani, una vera e livorosa invettiva. L anche come libri. Tanti, tantissimi quelli amati letti, annotati sui margini della biblioteca di De André, lettore vorace e attento al contempo. Di storia, di filosofia, di narrativa. Di poesia. E la memoria non può non andare, per la poesia, all’Antologia di Spoon River di Faber che diventò, in epitome lirica, Non al denaro non all’amore né al cielo, e ad Álvaro Mutis, il creatore di Maqroll il Gabbiere, che diede a De André l’impulso per la sua «smisurata preghiera». Tanti, tantissimi anche i libri ora su De André. Ne prendiamo uno a simbolo di tutti, uno dei meno noti, più attenti e più belli sul pensiero di De André, uno scavo in profondità sulle ragion libertarie di Fabrizio De André che non perde mai la leggerezza e l’accuratezza dell’analisi. Da riscoprire. Si intitola Fabrizio De André/Un’ombra inquieta, ritratto di un pensatore anarchico. L’ha scritto per Il Margine Federico Premi, ed è stato pubblicato ormai dieci anni fa, nel 2009. La bellezza, l’utopia, il potere, la solitudine di un modo di pensare sempre «in direzione ostinata e contraria».

M COME RICCARDO MANNERINI
Scomparso suicida nel 1980 a cinquantadue anni. Poeta, anarchico, difensore delle cause perse, giramondo dai mille mestieri esattamente come il Maqroll personaggio letterario amato da De André. O come Corto Maltese. Quasi cieco per lo scoppio di una caldaia di una nave dei Costa. Nelle parole di De André: «Abbiamo scritto insieme il Cantico dei drogati, che per me, che ero totalmente dipendente dall’alcol, ebbe un valore liberatorio, catartico. Però il testo non mi spaventava, anzi, ne ero compiaciuto. È una reazione frequente tra i drogati quella di compiacersi del fatto di drogarsi. Io mi compiacevo di bere, anche perché grazie all’alcol la fantasia viaggiava sbrigliatissima. Mannerini mi ha insegnato che essere intelligenti non significa tanto accumulare nozioni, quanto selezionarle una volta accumulate, cercando di separare quelle utili da quelle disutili. Questa capacità di analisi, di osservazione, praticamente l’ho imparata da lui. Mi ha anche influenzato a livello politico, rafforzando delle idee che già avevo. Sicuramente è stata una delle figure più importanti della mia vita».

N COME NEW TROLLS
Prima della collaborazione con la Pfm, De André, ventottenne, lavorò con un altro grande gruppo che aveva preso le mosse dal beat italico, e stava cercando la propria strada nel nascente rock progressivo. I genovesi New Trolls. Così nacque Senza orario senza bandiera, primo concept album italiano, dunque «disco a tema». La maggior parte dei testi nascono da poesie di Mannerini, a partire dalla fondamentale Signore, io sono Irish, un paio li crea De André, che ha anche il difficile compito di ricondurre i versi dell’amico a metriche cantabili, per il gruppo di Vittorio De Scalzi, e di collaborare alle musiche. Ancora oggi De Scalzi propone uno spettacolo di canzoni di Faber per voce, chitarra e fiati con il titolo Il suonatore Jones, attinto dal personaggio centrale di Non al denaro non all’amore né al cielo.

O COME «OCEAN»
Una delle canzoni più oscure dello splendido e sottovaluto disco Volume 8. Poi Cristiano De André ha chiarito che il brano, in cui un bambino investe di domande impossibili e poeticissime un padre è lui, che vessava Faber con continue richieste sul significato di Alice non lo sa di Francesco De Gregori. Oceano nasce proprio dalla collaborazione di De Andrè con De Gregori in Sardegna, e tenta (e trova) una risposta.

P COME «PITZINNOS IN SA GHERRA»
Bambini nella guerra: la presentarono i potenti Tazenda di Andrea Parodi al Festival di Sanremo del 1992. Fabrizio De André aiutò il gruppo sardo nei testi della splendida canzone che narra di un bambino non ancora nato, e forse, o meglio probabilmente, destinato a imbracciare un fucile. Meno noto il fatto che De André partecipò anche come corista in Etta abba, chelu. Il tutto sull’album Limba.

Q COME «QUESTI POSTI DAVANTI AL MARE»
Luminosa dichiarazione d’amore per il levante ligure di Ivano Fossati nel disco La pianta del tè del 1988. Prima e unica volta in cui a dividersi le strofe sono tre punte eccelse della canzone d’autore italiana: Fossati, De Gregori e De André.

R COME REQUIEM
Era quanto aveva in mente di costruire De André per il lavoro che avrebbe dovuto far seguito a Anime salve, l’ultimo disco rimastoci, un requiem per il secolo che si chiudeva. Titolo probabile Notturni, coautore Oliviero Malaspina, abbozzo di idea su quattro suite dedicate ai diversi significati della notte, focus sul De rerum natura di Lucrezio.

S COME «SUZANNE»
Perché il De André traduttore di altri grandi incarna la perfetta figura del traduttore-traditore. Identica la radice latina, Trado. De André non cerca il senso letterale delle frasi, ma coglie e amplifica l’evocazione della cosa descritta dall’altro, trattiene le vibrazioni infinitesimali, traveste per svelare. E poi l’altro, Cohen, è una sorta di alter ego dalla voce egualmente «sismica» nei bassi come è stato ben detto dai musicisti di De André in una recente trasmissione di approfondimento su Crêuza, il gioco di specchi diventa quasi borghesiano.

T COME «TITTI»
Un folk-rock-reggae spensierato del 1980 ad opera della coppia De André-Bubola che finisce come retro al 45 giri Una storia sbagliata, dedicata Pier Paolo Pasolini. Storia ispirata a Dona Flor e i suoi due mariti dell’amato scrittore brasiliano Jorge Amado.

U COME «UN MALATO DI CUORE»
Dall’Antologia di Spoon River adattata a disco: delicatissimo acquerello deandreiano ancor più intenso della fonte originale dedicato a chi non ha mai potuto bere «alla coppa d’un fiato, ma a piccoli sorsi interrotti», e muore cercando di conoscere l’amore.

V COME VANGELI APOCRIFI
I testi letti, studiati e trasfigurati da De André in La buona novella. I testi tout court di De André per Don Gallo, che li definiva «il mio Quinto vangelo». V, infine, come la misteriosa storia di Voi mi darete, scoperta nel 1991 dal giornalista Flavio Brighenti, così come raccontata nel suo spettacolo Io ,Fabrizio e il Ciocorì, presto in scena: storia di un capitano con una carico di carrube marce, di un omino misterioso che appare e che dice imperiosamente al capitano «voi mi darete zucchero, farina, caffè», di una fuga frenetica dai pirati. Una canzone scomparsa.

W COME WHISKY
Ne beveva molto, De André. Smise per una promessa al padre sul letto di morte: «È una reazione frequente tra i drogati quella di compiacersi del fatto di drogarsi. Io mi compiacevo di bere, anche perché grazie all’alcol la fantasia viaggiava sbrigliatissima».

X COME XENA
Il modo in cui nella Boca di Buenos Aires si scrive Zena, Genova. Lì si parla genovese ancora oggi, e qualche anno fa a loro la sfortunata cantautrice genovese Roberta Alloisio ha dedicato Xena tango. La lingua del tango peraltro è il lunfardo, un argot misto di spagnolo e italiano: e Lunfardia è una canzone che De André scrisse assieme a Roberto Ferri cantata poi da Adriano Celentano nel 2004 in C’è sempre un motivo.

Z COME «ZIRICHILTAGGIA»
Un folk rock trascinante su Rimini, 1978, cantato in gallurese, e scritto assieme a Massimo Bubola: come far rivivere la forma tradizionale dell’alterco a botta e risposta in pura energia. L’avessero scoperta i Pogues, sarebbe entrata nel loro etilico repertorio folk punk.