Cosa raccontare quando tutto è già stato raccontato, analizzato, dissezionato nel minimo dettaglio, anche inventato, ed elevato a status di leggenda? I Beatles sono uno di quei territori mitici su cui è appunto già stato «detto» tutto, e Craig Brown parte proprio da questo nel suo volume One Two Three Four – The Beatles in Time, vincitore l’anno scorso del Baillie Gifford Prize for non-fiction. Il suo racconto riguarda infatti meno i Beatles, la loro biografia «storica» e musicale, di ciò che hanno «generato» nel corso del tempo: la cosiddetta Beatlemania come fenomeno di costume, sociale, rivoluzione musicale e culto quasi religioso – non è un caso che il percorso parta dagli odierni tour organizzati a Liverpool nelle case di John e Paul dove gli oggetti delle famiglie Lennon e McCartney (quasi tutti repliche) «sono diligentemente catalogati, come reliquie della Torre di Londra» – «L’orgoglio della collezione è certamente ’Pattumiera: Metallo, data 1940-1960, con coperchio separato’» – e dove «chi va in pellegrinaggio a Mendips (casa Lennon, ndr) deve rispettare regole più strette di quelle nella Cappella Sistina».

CON IL SUO approccio ironico alle derive feticistiche della beatlemania Brown indica la direzione che prenderà il suo viaggio, che si diverte a riportare in primo piano dei particolari, «cartoline» nella storia dei Beatles che vanno dagli eventi più noti e dibattuti – la cacciata di Pete Best, il tour ad Amburgo, lo scioglimento – a «curiosità» che ricostruiscono il clima di un’epoca – quella in cui i Beatles si sono mossi e che hanno profondamente rivoluzionato. Dalle recensioni inorridite della stampa conservatrice inglese ai loro concerti – «Questa non è realmente isteria. L’isteria è patologica. Questa è una malattia» scrive sulle colonne di un giornale il preside del dipartimento di psicologia dell’Università di Manchester – alle curiosità assurde sui Fab Four che uscivano su un magazine interamente dedicato a loro («Fabulous») nel 1965: «Paul beve caffè a colazione. Gli altri tre bevono tè – perfino in America».
Un «catalogo» che procede liberamente fra salti e dilatazioni temporali, dove incontriamo l’articolo di giornale che ha ispirato a McCartney She’s Leaving Home; la fan mail americana ricevuta dai Beatles («Cari Beatles, sono una vostra leale fan. Ho tutti i vostri dischi e non ho nemmeno il giradischi. Con amore, Donna».); le reazioni negli Usa all’uscita di I Want To Hold Your Hand, da Bruce Springsteen – «la radio brillava davanti ai miei occhi per lo sforzo di contenere quel suono» a Allen Ginsberg: «Sentii il suono alto, di Jodel, di quell’oooh che mi attraversò il cranio, e capii che avrebbe attraversato il cranio di tutta la civiltà occidentale» – e ancora lo sciopero delle operaie del cotonificio di Accrington nel 1963 perché il caporeparto aveva bandito un programma radiofonico che passava le canzoni dei Beatles.

MOLTI EPISODI con il passare del tempo appartengono più al campo mitico che a quello «fattuale» che Brown non ha alcun interesse a ricostruire: a interessare è anzi spesso l’ «effetto Rashomon» dei ricordi e dei punti di vista – ogni Beatle ricorda (convenientemente) a suo modo la coltellata alle spalle inferta al loro primo batterista; ogni astante ha un diverso ricordo dell’aggressione di John all’Mc del Cavern Bob Wooler alla festa di compleanno di Paul nel ’63 – il suo telegramma di scuse, scritto da Brian Epstein, verrà battuto all’asta da Sotheby’s nel gli anni ’80 per 550 sterline. Ogni biografo (a seconda di dove pendano le sue simpatie) ne dà a sua volta una diversa interpretazione, come il racconto dei testimoni (spesso spuri) del primo leggendario incontro fra Lennon e McCartney poco più che bambini. È questo caleidoscopio a interessare Brown nel suo racconto che attraverso la luce che ne emana illumina il senso più vero, proprio perché spesso del tutto falso, dell’onda anomala rappresentata dal fenomeno Beatles. «Dopo un terremoto, si hanno diverse versioni di ciò che è accaduto da tutte le persone che lo hanno visto – avrebbe detto Paul anni dopo lo scioglimento della band – E sono tutte vere».