La ministra Pinotti era già informata dell’incidente, assicurano dalla difesa, attraverso i normali canali: gli italiani sono coinvolti nella fase di test che attualmente riguarda un centinaio di prototipi F35 (il nostro paese si è impegnato nell’acquisto del modello B, quello a decollo corto). Il principio d’incendio a bordo nella base in Florida risale ormai a più di dieci giorni fa, ma la decisione di tenere a terra i caccia è stata comunicata solo l’altro ieri. Eppure l’Italia sapeva. L’Italia che è l’unico paese al di fuori degli Stati uniti che partecipa alla produzione di parti del Joint Strike Fighter, nella base di Cameri (Vicenza), dove sei veivoli sono già in fase avanzata di assemblaggio.

Sei su novanta che il nostro paese ha programmato di acquistare, al costo di oltre cento milioni l’uno al netto della spesa necessaria per la dotazione di armi. Per i restanti 84 aerei il programma è al momento sospeso, anche se occorre ricordare che la campagna «Tagliamo le ali alle armi» ha calcolato circa 2,7 miliardi di spese solo per la fase precedente agli acquisti. La sospensione è stata decisa dal governo Renzi, per ragioni di risparmio e dopo che la commissione difesa della camera ha concluso un’indagine conoscitiva sui sistemi d’arma che ha avanzato molte critiche al programma F35. Ma sospensione non significa affatto rinuncia.
La notizia dell’ennesimo incidente al caccia prodotto dalla Lockheed Martin è stata commentata in Italia dalla ministra degli esteri Federica Mogherini, che però si è limitata a dire che «la strategia italiana è sotto revisione, stiamo lavorando esteri e difesa insieme anche se si tratta di una materia più di competenza della difesa». Le fonti dello stato maggiore della difesa hanno ostentato tranquillità, spiegando che si tratta di incidenti prevedibili nella fase di sperimentazione. Si ricorda che mancano ancora due anni prima dell’entrata in servizio prevista dei primi caccia italiani, e che «altri aerei» hanno evidenziato altrettanti problemi. Per esempio un Eurofighter – l’alternativa europea all’F35 che è stata preferita da Spagna e Francia (mentre l’Italia è in consorzio con Canada, Inghilterra e Usa) – è precipitato in Spagna meno di un mese fa.

Nelle scorse settimane la ministra della difesa Pinotti è sembrata orientarsi verso una conferma del programma F35, soprattutto dopo che in due riunioni consecutive del Consiglio supremo della difesa, presieduto dal capo dello stato, sì è insistito sul fatto che le risorse per gli investimenti in armamenti «non dovranno comunque scendere al di sotto di livelli minimi invalicabili». In precedenza aveva espresso opinioni diverse. Adesso l’intenzione del governo, sostenuto in questo dal Quirinale, è quella di rinviare ogni decisione alla redazione del «Libro bianco per la sicurezza internazionale e la difesa», presentato come l’unico strumento utile per decidere di quanti caccia americani avranno bisogno le nostre Forze Armate. In realtà l’indagine conoscitiva del parlamento è già arrivata a una conclusione, approvata in commissione difesa alla camera, che indica nel dimezzamento del programma previsto la soglia massimo d’acquisto. Non più 90 aerei ma 35 al massimo. Gianpiero Scanu, capogruppo del Pd in commissione difesa e responsabile del documento finale, ieri ha detto che l’ultimo incidente «conferma la bontà della nostra proposta di moratoria sugli F35 e la richiesta di un dimezzamento delle spese». Ma ha aggiunto anche che «ritirarci adesso dal programma sarebbe prematuro, è per questo che ci muoveremo con buonsenso. Certamente non compreremo aerei che non siano assolutamente affidabili».

A leggerle in controluce, queste dichiarazioni alludono al fatto che dovrà essere comunque il parlamento a esprimere l’ultima parola sugli acquisti di sistemi d’arma, così come previsto dalla legge 244 del 2012 (e in particolare dall’articolo 4, noto come «lodo Scanu»). Al contrario la ministra Pinotti derubrica il risultato del lavoro parlamentare a una semplice opinione, e ha già spiegato che il governo – e per lui gli stati maggiori – ha intenzione di fare da sé nella definizione degli obiettivi del Libro bianco. Chiarissmima la nota arrivata dal Quirinale il 18 giugno scorso, in cui si spiegava che «l’iniziativa e la responsabilità» del documento sono tutte dell’esecutivo, e le camere potranno tutt’al più ed «eventualmente» offrire «valutazioni e suggerimenti». Tutto il contrario di quello che dice il documento approvato alla camera, dove si legge che «è intenzione della commissione (difesa, ndr) interagire attivamente anche alla redazione della proposta definitiva di Libro Bianco, che dovrà essere votata dal parlamento». Sul sito del ministero della difesa ci sono già i primi materiali del lavoro che entro la fine dell’anno dovrà essere concluso. Tra l’altro si può leggere che le critiche al programma F35 sono frutto di una «subcultura strategica».