In principio si dovevano creare, subito, 2 mila nuovi posti di lavoro e 10 mila nel medio-lungo termine. Una bella prospettiva di sviluppo dell’occupazione. Era il lontano 8 febbraio del 2007. Il sottosegretario alla Difesa, Lorenzo Forcieri l’aveva sparata grossa per giustificare la firma a Washington del protocollo d’intesa per la partecipazione italiana al programma del caccia-bombardiere Jsf-F35 dell’americana Lockheed Martin. Bisognava convincere una compagine di governo che andava da Mastella a Rifondazione Comunista. E l’argomento dei posti di lavoro (60% al sud) faceva – anche allora – un certo effetto in un parlamento sprovveduto. Prima di Forcieri il generale Leonardo Tricarico, all’epoca capo di Stato Maggiore dell’Aeronautica, garantiva con l’F35 all’industria italiana 10 mila posti di lavoro per 45 anni. Chiunque, oggi, è in grado di valutare come siano andate le cose per davvero.

La partecipazione al programma F35 è costata finora ai contribuenti italiani intorno ai 2,5 miliardi di euro, sia per la fase di sviluppo e industrializzazione, sia per l’allestimento – nell’aeroporto militare di Cameri a Novara – delle linee di produzione delle semi-ali e di assemblaggio. A Cameri si sono investiti circa gli stessi soldi che la Fiat ha investito a Pomigliano. La differenza è che a Pomigliano – nonostante tutti i problemi ancora aperti – esiste una nuova fabbrica di eccellenza per la produzione di auto, in cui lavorano oggi circa 3.000 persone e destinata ad occuparne 4.500. A Cameri, viceversa, lavorano solo un centinaio di persone (quasi tutti provenienti da Alenia di Torino).
Neppure di fronte l’evidenza dei numeri si rinuncia, però, da parte dell’attuale ministro della Difesa Mauro a sostenere che l’F35 «s’inserisce nel quadro di rilancio dell’economia» e che l’Alenia Aermacchi e le decine di aziende e Pmi coinvolte «possono guardare al futuro con ottimismo». Peccato che il calo del numero di occupati nell’industria aeronautica italiana non può essere più occultato. A fine 2012 si sono persi ulteriori 1.280 posti di lavoro rispetto ai dati del 2011 e altri se ne perderanno nei prossimi due anni.

Sul piano occupazionale, nell’ipotesi più ottimistica – a Cameri lavoreranno a regime meno di 1.000 persone (circa il 70% della fabbricazione delle ali + assemblaggio finale dei F35 italiani e olandesi). Bisogna poi aggiungere circa 700 persone tra Caselle, Foggia e Nola + l’outsourcing (alcune centinaia di addetti in aziende di componentistica elettronica, elettrica, idraulica ecc.). Non si supererebbero, nel totale di 20-40 aziende coinvolte, i 2.000-2.500 addetti complessivi. Secondo fonti sindacali, sicuramente più realistiche, gli addetti complessivamente impiegati nel programma non supereranno i 1.500 addetti. E tranne alcune centinaia di nuove assunzioni a Cameri, il resto saranno lavoratori già occupati che saranno spostati sul programma F35.

E i vantaggi tecnologici e industriali attesi dal programma F35? La prima «vittima» è stata l’Avio, che con la scelta americana di utilizzare un solo motore – quello della canadese Pratt & Whitney – è di fatto esclusa. La seconda è Selex Galileo (e le altre aziende di elettronica per la difesa di Finmeccanica) che porterà a casa «solo della minutaglia».
Infine è sempre più evidente che il ruolo di partner di 2°livello per l’industria italiana nel programma F35 ricaccia le nostre aziende nella marginalità della sub-fornitura, lontane dal ruolo primario giocato – ad esempio – nel programma Eurofighter. A conti fatti, in rapporto a quanto ci costano, non è certo un gran risultato.

* Ufficio Internazionale Fim-Cisl