L’incauto sì all’intero pacchetto F35, cioè al progetto di produzione e acquisto di armi convenzionali più costoso di sempre e in continua crescita, che secondo rivelazioni non smentite sarebbe stato pronunciato dal presidente del Consiglio Giuseppe Conte durante la visita del segretario di Stato Mike Pompeo, agita la maggioranza giallo-rossa, soprattutto nella sua componente pentastellata.

Tanto che lo stesso capo politico Luigi Di Maio, oltre che titolare della Farnesina, evidentemente insofferente anche per il protagonismo in solitaria del premier, ha costretto Conte a una parziale retromarcia. Adesso da Palazzo Chigi fa sapere che il programma F35 – su cui persino nel passato governo la titolare della Difesa Elisabetta Trenta aveva mantenuto ferme “alcune criticità” – di essere anche lui “d’accordo sulla rinegoziazione”. Sempre che sia possibile. Ieri mattina, intervenendo alla radio, l’ex premier Mario Monti ha rivendicato di essere stato l’unico, con la spending review del 2012, a dare una decisa sforbiciata agli acquisti passando da 131 velivoli all’attuale obiettivo di 90. Ma non è chiaro se un taglio simile sarà più possibile o se Trump intenda mettere fine alle contrattazioni dopo l’abbandono turco.

Nel frattempo le acque in casa M5S non si placano ed è Gianluca Ferrara, capogruppo M5S in Commissione Esteri a dirsi stupito delle dichiarazioni di conferma dell’intero programma. «Il M5s – ricorda- ha sempre criticato questo programma militare. Un progetto insostenibile che molti Paesi, Usa compresi, hanno già tagliato. Una rinegoziazione è doverosa anche da parte dell’Italia. Confidiamo – conclude – che il nostro premier farà la scelta giusta».

Era stato, due giorni fa sempre dalle colonne del Corriere della Sera, il senatore Stefano Lucidi, tra l’altro anche tesoriere dei 5 Stelle, a far presente di essere ancora su quelle posizioni di contrarietà tout court e a insistere come sulle clausole e penali del programma dei caccia multiruolo della Lockheed Martin quanto meno bisognerebbe “vedere le carte, aprire i cassetti” per capire se e quanto il programma sia effettivamente rinegoziabile.

In casa Leu l’argomento è di quelli incandescenti, di cui non fa piacere parlare, anche perché non c’è nessuno a seguire i giochi nella commissione Difesa. E poi perché, se è vero che l’imperativo è non mettere a rischio ulteriormente questa fragile maggioranza, non si può dimenticare che per anni dall’opposizione la sinistra ha sempre appoggiato la pluridecennale campagna per l’azzeramento del costoso programma varato da Romano Prodi nel 1998 per la sostituzione dei vecchi Tornado con i nuovi cacciabombardieri a controllo Usa. Tant’è che Giulio Marcon, ex capogruppo alla Camera di Sinistra ecologia e liberà nella passata legislatura, è ora portavoce della campagna «Stop F-35 – Taglia le Ali alle Armi» promossa da Sbilanciamoci, Rete della pace e Rete Disarmo, e non si fa problemi a tornare a esprimere una «forte preoccupazione per le notizie di queste ore» relative alle rivelazioni sull’impegno preso da Conte con Pompeo.

E a chiedere un’audizione parlamentare urgente per spiegare le molte criticità dell’incauto acquisto chiavi in mano. A confermare l’impegno politico a favore dell’azzeramento dei contratti per l’acquisto dei cacciabombardieri, in conformità con ciò che prescrive l’articolo 11 della Costituzione è anche Nicola Fratoianni di Sinistra italiana/Leu. “Fermo restando la nostra posizione per la cancellazione totale di questa spesa, è necessario sapere quali impegni siano stati assunti, quali possono essere disdetti senza penali e soprattutto sarebbe fondamentale che non se ne assumesse di nuovi, cercando quanto meno di rinegoziare al massimo quelli passati”, dice Fratoianni.

Nettamente di altro segno è la posizione del Pd, da sempre sponsor dell’operazione F35 – iniziata da Prodi e proseguita da D’Alema e alla fine da Gentiloni, oltre che da Berlusconi – affidata alle parole di Lia Quartapelle, capogruppo in commissione Esteri, che da Kiev ricorda come “in passato siamo riusciti a non ridurre il numero degli F35 sotto i 90 e restiamo sulla posizione che non si torna indietro sugli impegni presi tra alleati e questo però deve valere sia per noi sia per gli Stati uniti riguardo ai contratti”. Insomma, niente acquisti a scatola chiusa. Neanche in cambio di dazi più leggeri su parmigiano e olio: i cacciabombardieri alla fine non sono pomodori pelati.