Tra le stanze del Museo Nazionale del Cinema e quelle del Museo del Risorgimento, il Torino Short Film Market (TSFM), al suo sesto anno, ha presentato ventisei opere in realtà virtuale immersive e interattive, frutto di una selezione attenta alle forme più interessanti che, nell’ambito della Extended Reality (XR), continuano a celebrare l’incontro tra tecnologia e sperimentazione visiva, sonora e spaziale. L’ecosistema del cortometraggio in cui gli addetti ai lavori alimentano il mercato internazionale nelle giornate del TSFM tiene dentro, dunque, anche i progetti di realtà estesa, considerati ormai parte essenziale della creatività del cinema contemporaneo legato alla forma breve.

La sezione XR, termine ombrello che in gergo racchiude l’orizzonte delle tecnologie di realtà virtuale, mista e aumentata, evoluzione ultima del vecchio Digita! con cui cinque anni il TSFM iniziava a rivolgere attenzione alle dinamiche di mercato delle cosiddette narrazioni digitali, spazia dall’animazione al documentario, dalle esperienze interattive alle performance in live-action.
Della selezione di opere immersive, curata da Carla Vulpiani, ben diciassette sono state rese disponibili per il pubblico del Museo Nazionale del Cinema di Torino che, nel suo spazio storico all’interno della Mole ha allestito da questa estate due sale per la realtà virtuale. La selezione pensata per i professionisti del settore è stata quindi l’occasione per valorizzare anche uno dei luoghi storicamente dedicati al cinema e permettere al pubblico del museo di sperimentare i mondi virtuali.

Costruire una rete festivaliera implica non solo adeguare gli spazi tradizionali alle necessità tecniche del medium ma anche, potremmo dire, una mediazione culturale che avvicini il pubblico a nuove modalità di fruizione. Sono passati solo quattro anni da quando la Mostra del Cinema di Venezia ha avuto l’idea pionieristica di allestire per il medium immersivo più che un luogo dedicato, dando legittimità al medium attraverso una sezione competitiva che lo facesse rientrare a tutti gli effetti nella selezione ufficiale del festival. Da allora è stato un «contagio» spiega Agata Di Tommaso, specializzata nel rapporto con i festival per l’agenzia di distribuzione Diversion cinema, content partner della manifestazione insieme a Institut français Italie.

«Moltissimi festival importanti come gli statunitensi Tribeca e Sundance o il Sandbox in Cina hanno aperto le porte alla realtà virtuale. Per alcune opere si inizia a creare anche un contesto espositivo ad hoc che introduca l’esperienza virtuale e che integri l’intenzionalità dell’opera con quella legata al contesto, alla natura del festival e alle scelte tematiche della specifica edizione».

Ne è un esempio l’esperienza VR Ayahuasca – Kosmik Journey del regista Jan Kounen che, similmente a quanto accadde per la celebre opera interattiva Carne y Arena di Alejandro González Iñárritu, è stata poi concepita anche in una cornice espositiva più tradizionale, presentata all’Eye Film Museum di Amsterdam e al Virtual Arts Hub di Taipei. L’esposizione multimediale Ayahuasca – The Shamanic Exhibition, creata e prodotta da Diversion cinema, è infatti una mostra che attraverso suoni, video e dipinti, permette agli spettatori di avvicinarsi alla storia culturale e ai rituali legati alla pianta curativa amazzonica.

L’opera è stata portata anche nella cornice della Mole nella sua versione non interattiva a 360 gradi, accanto ad altri lavori immersivi di grande interesse come il documentario in presa diretta The Real Thing di Benoit Felici e Mathias Chelebourg (Francia, 2018). Un lavoro, quest’ultimo, che ha anche una sua versione cinematografica di 70 minuti e che dimostra, come spiega sempre Di Tommaso, come spesso le esperienze immersive viaggino simultaneamente anche su altri formati. Con questo documentario siamo difronte a una riflessione sul concetto di copia che prende spunto da repliche di monumenti, architetture e città europee ricostruite sul territorio cinese e narrate attraverso la voce di coloro che le abitano.

«Siamo portati pensare che i contenuti di punta, di ultima tecnologia, siano i più interessanti – prosegue Di Tommaso – ma non è così. I progetti a 360 gradi, per cui il pubblico indossa solo il visore e si accomoda per godere dell’ambiente che lo circonda, se ben studiati e ben scritti come The Real Thing, sono esperienze intense, oltre che più facili da accompagnare in giro per il mondo, anche tramite piattaforme virtuali».

Quando la pandemia ha bloccato gli showcase fisici lo scorso anno moltissimi festival sono migrati all’online e la maggior parte di questi si sono appoggiati a piattaforme che non erano tecnicamente in grado di ospitare contenuti interattivi. Va da sé che una riflessione sul backstage è allora fondamentale anche per i contenuti XR le cui vicende produttive e distributive aprono nuovi orizzonti per festival, musei e industria.

Se da un lato il cliché fantascientifico del corpo che si agita sotto il controllo della tecnologia ci ricorda che dal suo grado di sofisticazione dipende il tipo di esperienza che facciamo come spettatori, dall’altro la realtà virtuale non può essere ridotta a un mero problema di device.

Per questo, interrogarne le sperimentazioni alla luce dell’infrastruttura culturale, economica e politica che le innesta nel mercato è certamente un crinale che merita attenzione.