Ci siamo quasi. C’è una certa agitazione. Consola il fatto che di solito gli eventi tanto attesi non accadono né come speriamo né come temiamo. Non sarà un trionfo, ma neppure un disastro. A poche settimane dal via, sia il mostruoso apparato che lavora per l’esposizione sia il confuso «movimento» che con solide argomentazioni lo contesta si stanno dando un gran da fare, più che altro per limitare i danni. La sommatoria di due debolezze è la cifra del primo maggio milanese più atteso della storia recente. Se tutto andrà come deve andare, sarà un Expo all’italiana.

Sette anni dopo la lieta novella, a ventitré giorni dall’inaugurazione, i lavori sull’area espositiva non sono ancora terminati. Stenta proprio il «nostro» fiore all’occhiello, quel Padiglione Italia i cui costi sono lievitati da 60 a più di 90 milioni di euro. Distribuire colpe ormai è una perdita di tempo, ma il fatto resta: Expo Spa ha appena investito 1 milione e 100 mila euro per «allestimenti di quinte di camouflage» per nascondere le opere incompiute. Geniale come Totò e la camicia senza maniche per ben figurare sotto la giacca, «quello che non si vede che si fa a fare, è stoffa che si spreca!». Non è un dramma ma ci facciamo riconoscere, anche se Giuliano Pisapia dice che a Parigi nel 1889 nessun padiglione era pronto per l’inaugurazione. Almeno ai francesi è rimasta la Torre Eiffel.

Ieri mattina il sindaco di Milano ha visitato per la penultima volta i cantieri dove 6.500 operai lavorano giorno e notte. Elmetto in testa, ha dispensato ottimismo in vista del traguardo. «Ce la faremo» ma non sarà un miracolo come ha detto Matteo Renzi. «Lascerei la sacralità della parola miracolo – ha precisato Giuliano Pisapia – e lascerei perdere i miracolisti. Ogni giorno che passa il sito di Expo si completa sempre di più. Ho visto di persona che l’ottimismo per il successo di Expo è ben riposto. Dall’ultima volta che ho visitato il sito sono stati fatti grandi e importanti passi avanti. Molti padiglioni sono già pronti. Anche il Padiglione Italia ha visto un avanzamento deciso, sia all’esterno che all’interno. Il primo maggio sarà possibile visitare tutte le parti espositive del Padiglione». Il sindaco è rimasto affascinato dalla «bellezza» dei padiglioni e per nutrire il suo «sano e razionale ottimismo» ha voluto anche sottolineare i temi di Expo – il patto urbano per le politiche alimentari che coinvolge le metropoli del mondo – e l’unico «lascito materiale» di cui fino a ora c’è certezza, la Cascina Triulza. «Sarà la sede permanente, anche dopo Expo, dell’associazionismo e della cooperazione internazionale perché continui il confronto e l’impegno sul tema Nutrire il pianeta».
Sarà. Ma sono briciole di altermondialismo che non bastano per accontentare quella parte di movimento che da anni contesta il modello Expo. Il primo maggio ci saranno anche loro, lontani dai tornelli che per sei mesi inghiottiranno milioni di visitatori.

Sarà una MayDay diversa, internazionale, per dire che Expo non nutre il pianeta. «E’ una macchina generatrice di debito, cemento, precarietà, corruzione, devastazione e saccheggio dei territori – scrive la Rete Attitudine No Expo – modello ben presto esportato in tutto il paese, anticipatore delle norme contenute nel Job’s Act, nello Sblocca Italia, nel Piano Casa. Opporsi ad Expo è opporsi a tutto questo: niente opportunità, niente futuro, niente occasioni dentro quel paradigma». Arriveranno da tutta Italia, e anche da alcuni paesi europei, realtà molto diverse tra loro. I militanti dicono che sfilerà un corteo pieno di gioia e di rabbia, ma chi cerca di raccontarli – giornali che ricalcano veline dei servizi – semina il panico evocando «capacità di danneggiamenti dieci volte superiori a quelli del G8 di Genova». La trappola, evidentemente, è già scattata. «C’è un’attività che non passa mai di moda: infangare i movimenti per spaventare le persone e tenerle lontane dalle piazze, e nel frattempo costruire la figura del nemico pubblico che legittimi ogni possibile intervento repressivo», scrivono i No Expo.

Per tre giorni, in buona compagnia di alcune migliaia di agenti di polizia, attraverseranno le strade di Milano con azioni «imprevedibili», a tratti anche piuttosto decise. Si comincia il 30 aprile con gli studenti. Il clou sarà il primo, con partenza da piazza XXIV Maggio. Il viavai militante avrà come base un campeggio nel parco di Trenno (nessun accampamento segreto). Ma c’è un’altra data da segnare sul calendario, perché potrebbe influire sul buon esito di tutto il resto: mercoledì 29 aprile, quando i fascisti saranno in piazza per ricordare Sergio Ramelli, il giovane missino ucciso 40 anni fa.