Dopo il risultato del referendum sulla Brexit, Meike Ziervopel, editrice della Pereine Press, propose a Anthony Cartwright di scrivere un romanzo che potesse funzionare come un fictional bridge tra le due parti apparentemente irriconciliabili del leave e del remain. Tre anni – e tutti gli avvenimenti passati – sono un tempo sufficiente perché un’opera su commissione si mostri irrimediabilmente datata, o, al contrario, riveli una consistenza letteraria che va oltre – quando non cancella – il dato contingente. È il caso del romanzo di Cartwright, Il taglio (66thand2nd, traduzione di Riccardo Duranti, pp. 153, e 15,00), dove la Brexit è, al massimo, un pretesto per focalizzarsi sulla working class, con i suoi personaggi che, anche quando appaiono, nei romanzi britannici restano quasi sempre sullo sfondo e se arrivano al primo piano, «sono parlati» da protagonisti e comprimari di più elevata classe sociale.

Tra il voi e il noi
Cartwright mette in scena operai che lavorano a giornata nel profondo delle Midlands, quella Black Country già fiorente distretto industriale e oggi, con lo smantellamento dell’industria pesante inglese, sprofondata nella povertà.
Cartwright è oggi, probabilmente, il massimo esponente anglofono di quello che nel secolo scorso si sarebbe definito realismo sociale: qui aggira il rischio del romanzo a tesi impedendo che, come accade, per esempio, nella più fortunata delle Brexit novels, Middle England di Jonathan Coe, siano personaggi colti e borghesi a osservare e raccontare la provincia più profonda, sebbene con occhio apparentemente privo di pregiudizi. Tra le pagine del Taglio, Grace, la documentarista londinese arrivata nella Black Country per sondare le opinioni del popolino alla viglia del referendum, avverte una sorta di velo invisibile che la separa da «quella gente» e, impedendole di comprendere persone così lontane dal suo mondo, ne inibisce la rappresentazione. Tocca a Cairo, l’unico individuo locale a degnare Grace di qualche attenzione, farle notare come il mondo della working class provinciale sia molto più complicato di quanto i media lascino intuire: «Quello che voialtri volete dire è che è tutta colpa dell’immigrazione. Che noi siamo tutti razzisti», osserva Cairo, rispondendo a una domanda dell’intervistatrice sul rapporto tra la gente del posto e gli immigrati. «Non avete mai preso in considerazione l’ipotesi che magari il problema siete voialtri».

«Voialtri», «quella gente»: il romanzo gioca tra queste due polarità, il proletariato (e il sottoproletariato) percepiti come «quella gente» dalla radical chic Grace e i borghesi e gli intellettuali di Londra, liquidati come «voialtri» da Cairo. Grazie anche all’ottima traduzione di Riccardo Duranti, che deve avere faticato non poco per rendere la parlata della Black Country, riprodotta mimeticamente nel testo di Cartwright, il punto di vista dei diseredati viene a imporsi, per una volta, a quello della borghesia intellettuale. Anche se in alcuni capitoli è Grace a occupare il primo piano, è comunque la figura di Cairo a prevalere: ex pugile, divorziato, padre di una ragazza diciannovenne che l’ha già reso nonno, lavoratore precario che, superata la quarantina, ancora convive con gli anziani genitori, Cairo ricorda, tanto nella sua rozza avvenenza quanto nella sua intelligenza quasi ferina, certi personaggi maschili di D. H. Lawrence, destinati ad affascinare algide giovani della buona società, con conseguenze nefaste per entrambe le parti.

Muri e buone maniere
In questo senso, la storia d’amore in cui Cairo e Grace si trovano invischiati, quasi loro malgrado, sembra riprendere il canovaccio della passione impossibile tra individui di diverse classi sociali, tipica del mondo lawrenciano. Ma Cairo non è il guardiacaccia animalesco che seduce la lady con la sua primitiva sensualità, né Grace la gentildonna disposta a «perdersi» nella provincia più oscura per amore di un uomo dal cupo fascino animale. E il finale della loro storia, un autentico pugno nello stomaco del lettore, sta tristemente a significare l’impossibilità di creare un «ponte» tra i loro mondi.
Il taglio non è il fictional bridge commissionato dalla Pereine Press: è, invece, l’amara constatazione che, come dice Cairo, il resto del paese si vergogna della sua provincia. «In un modo o nell’altro, vorreste che noi scomparissimo», conclude. «Andrà a finire che sorgeranno campi, che si costruiranno muri … e non sarà la mia gente a farlo, Grace, sarà la tua. Sta già succedendo, con le buone maniere che usate voi».