Roma rende omaggio a Rafael Alberti (1902-1999), poeta e pittore spagnolo, che vi ha abitato dal 1964 al 1977 per poi tornare in Spagna dopo la morte del caudillo Francisco Franco. Lo fa su iniziativa dell’Istituto spagnolo Cervantes, che nella Sala Dalì di piazza Navona ospita la mostra Exiliarte (curata dalla pittrice e accademica Carmen Bustamante). L’esposizione racchiude la memoria di una cartella di opere grafiche che furono dedicate al poeta nel 1966 in occasione di una iniziativa antifranchista a Parigi.

Alberti rappresentava in quel periodo il simbolo della lotta culturale antifranchista, oltre che essere rappresentante autorevole della cosiddetta «Generazione del ’27» (un gruppo importante nella letteratura spagnola, attivo principalmente tra il 1923 e l’inizio del Guerra civile di cui facevano arte poeti come Federico García Lorca, Pedro Salinas, Jorge Guillén, Gerardo Diego, Luis Cernuda, Dámaso Alonso, Vicente Aleixandre).

L’OMAGGIO È DOVUTO. A Roma, nei decenni sessanta e settanta, vivevano molti esuli politici. La sera si andava al Folkstudio, a Trastevere, mitico locale musicale, ad ascoltare i brasiliani Caetano Veloso e Chico Buarque de Hollanda o l’argentino Gato Barbieri senza sospettare quello che sarebbero diventati. Molti artisti erano fuoriusciti dalle dittature fasciste in Spagna, Grecia, Portogallo o America latina. Dopo l’11 settembre 1973 arrivarono pure i cileni che fuggivano dal generale Pinochet.

A Trastevere si poteva incontrare, tra gli altri, Alberti, andaluso con ascendenze famigliari italiane, militante del Partito comunista di Santiago Carrillo. Era affascinante sentirlo parlare e declinare i suoi versi. Si faceva riconoscere da lontano per la sua folta chioma bianca.

Ascoltandolo in situazioni intime e casalinghe, Alberti incantava con il suo poetare e con l’idea che si potesse vivere facendo il poeta, riconoscimento che aveva ottenuto già nel 1927 vincendo in patria il Premio nacional de poesia, e facendo il pittore, attività che ha sempre accompagnato il suo lavoro sulle parole.

Nel 1975, Sergio Endrigo musicò il suo testo La colomba, che era un invito alla libertà. Le serate romane di quel periodo trascorrevano così, tra profughi e impegno politico. Endrigo, che aveva vinto il Festival di Sanremo nel 1968, faceva parte di questo circuito.

La mostra romana – inaugurata ieri e visitabile fino al 15 gennaio 2022 – è composta da 51 opere tra dipinti, disegni, lettere e poesie, oltre a tavole esplicative e a un video. Tra gli artisti presenti: Mentor Blasco Martel, Antonio Saura, Rafael Canogar, Ricardo Zamorano, José Vela Zanetti, Federico Montañana, Juana Francés, Pablo Serrano, José Planes, Julián Pacheco.

MA COLORO che si mobilitarono in solidarietà con Alberti furono un centinaio di diverso orientamento politico, tutti convinti che andasse democratizzata la società spagnola. Quella di Parigi fu un’iniziativa dalle forti ripercussioni politiche, pur se si dovette attendere una decennio per raggiungere l’obiettivo (la Costituzione della nuova Spagna fu approvata solo nel 1978). Un accurato catalogo che accompagna l’esposizione racconta perciò l’iniziativa del 1966, il suo contesto, gli artisti e le opere che vi presero parte: si tratta di un documento davvero prezioso.

La mostra Exiliarte ha dunque un significato storico e didattico sulla storia di Spagna, oltre che artistico perché nell’iniziativa parigina erano coinvolti rappresentanti di tutte le tendenze iberiche presenti nel dopoguerra (realismo, figurazione, post avanguardia, arte informale, espressionismo astratto, realismo critico). Rappresenta infatti l’occasione per capire cosa si muoveva in campo artistico in quegli anni.

L’omaggio ad Alberti del 1966 fu organizzato dall’Associazione culturale franco-spagnola di cui Jean Cassou era presidente e a cui parteciparono importanti figure dell’ispanismo francese e della cultura spagnola e latinoamericana come Alfonso Sastre, Miguel Ángel Asturias Marcel Bataillon, Ana Maria Matute e Dolores Ibarruri. L’iniziativa si concluse con un montaggio musicale ispirato all’opera di Alberti, dopo il quale gli fu consegnata la cartella che ora viene in parte esposta in questa mostra romana.

IL RAPPORTO TRA IL POETA e Roma ricordato in questa occasione è intanto raccontato da lui stesso nel libro di memorie in due volumi L’albereto perduto (Editori riuniti, 2010). A Roma, Alberti frequentò artisti e poeti, la sinistra dell’epoca, conobbe il gruppo musicale cileno degli Inti Illimani che mise in musica il suo poema Creemos el hombre nuevo.

Ad Alberti non piaceva però la Roma delle rovine romane o quella rinascimentale, era attratto invece da quella popolare, confusionaria di Trastevere, Campo dei fiori e da quella moderna, caotica, dove a causa del traffico è difficile perfino fare una passeggiata (questa difficoltà la descrisse nella poesia Roma, peligro para caminantes). Al poeta piacevano molto anche i gatti e le «gattare» di Roma, che fanno parte in moltitudine del paesaggio urbano.

In coincidenza con questa mostra, il legame tra Alberti e Roma ha ispirato il progetto audiovisivo Radix, ideato e diretto da Cristiano Leon, girato alle Terme di Caracalla, nato dalla collaborazione tra l’ambasciata di Spagna in Italia, la Soprintendenza speciale di Roma, la Real Academia de España a Roma e l’Istituto Cervantes (è distribuito sul portale web della Rai da ieri).