«Il mio sogno è che venga a inaugurarlo Berlusconi», diceva nel 2005. Altri tempi, un’altra era. Il senatore Antonio Azzollini (un globetrotter della politica, con un passato nel Pdup, nei Verdi, nel Pci-Pds dal quale fu espulso per la sua partecipazione alla giunta comunale d’unità molfettese, una larga intesa d’antan, evidentemente allora non di moda) sognava che ai moli del nuovo porto di Molfetta, di cui era sindaco dal 2001, arrivasse per il taglio del nastro nientedimeno che Silvio in persona. Colui dal quale nel 1995 era rimasto folgorato, lui ex comunista, perché – andava dicendo – «con la caduta del muro di Berlino tutti noi abbiamo aperto gli occhi e non potevo rimanere ucciso ideologicamente sotto le macerie».
Il suo pallino era, appunto, il porto commerciale, la terza più grande opera in acqua attualmente cantierizzata dopo il Mose e il porto di Civitavecchia, la più importante opera pubblica pugliese degli ultimi anni, al 60% di stato di avanzamento e, particolare non da poco, l’unico porto in Italia la cui costruzione è gestita direttamente dal comune. I lavori si sarebbero dovuti concludere nel gennaio del 2012 ma, a causa della persistente enorme quantità di residuati bellici (48.000 bonificati e 50.000 da bonificare) ancora presenti sui fondali, il normale svolgimento dei lavori è andato molto in là coi tempi. L’attività di sminamento prosegue dal 2008 e si pensava di terminare nel 2016. Ma tutti questi bei propositi vanno a sbattere contro il muro di un’inchiesta giudiziaria che ha terremotato il comune pugliese e la Cmc. Una maxifrode da 150 milioni che vede coinvolti Azzollini, indagato, l’ex dirigente comunale ai lavori pubblici Vincenzo Balducci e il procuratore speciale della Cmc di Ravenna (azienda che si è aggiudicata l’appalto) e direttore del cantiere, Giorgio Calderoni, entrambi arrestati.
Le indagini, coordinate dalla procura di Trani, hanno accertato che per la realizzazione della diga foranea e del nuovo porto è stato veicolato in favore del comune, all’epoca dei fatti guidato da Azzollini, un ingente fiume di danaro pubblico: oltre 147 milioni di euro, 82 dei quali sino ad ora ottenuti dall’ente comunale, a fronte di un’opera il cui costo iniziale era previsto in 72 milioni. L’opera (appaltata nell’aprile del 2007)) non solo non è stata finora realizzata a causa della presenza sul fondale antistante il porto di migliaia di ordigni, ma non vi è neppure la possibilità che i lavori possano concludersi nei termini previsti dal contratto di appalto assegnato ad un’Ati composta da tre grandi aziende italiane: Cmc (capofila), Sidra e Impresa Cidonio. Secondo l’accusa, il comune di Molfetta, pur sapendo dal 2005 (circa due anni prima dell’affidamento dell’appalto) che i fondali interessati dai lavori erano impraticabili per la presenza delle bombe, ha attestato falsamente che l’area era accessibile. In questo modo si è consentita illegittimamente la sopravvivenza dell’appalto, si è spalancata la porta a una valanga di fondi pubblici, sono state fatte perizie di variante ed è stata stipulata nel febbraio 2010 una transazione da 7,8 milioni con l’Ati appaltatrice. Insomma, una frode in piena regola. Che presenta anche i contorni del giallo. Sei mesi fa Vincenzo Tangari, dirigente del settore contratti e appalti del comune, si tolse la vita gettandosi con la sua Fiat Panda nel porto. «Perché questo funzionario così corretto e preciso ha deciso di gettarsi proprio nel porto di Molfetta?» si domandano gli investigatori.
Azzollini si difende così: «Il comune di Molfetta non ha bisogno di coprire buchi perché è liquido e solido. Ha la liquidità che gli consente di andare avanti benissimo e ha un patrimonio in assoluto tra i migliori di Italia». Nonostante pendessero già su di lui un paio di denunce per la vicenda del porto (alla procura e alla Corte dei conti da parte dell’Authority sui contratti pubblici) era stato riconfermato agli inizi della legislatura in un posto che oggi suona come una beffa. A capo della commissione Bilancio del Senato.