Ieri giornata fitta di annunci, sceneggiate e audizioni sul destino dell’ex Ilva. Si è partiti la mattina con il ministro delle Imprese Adolfo Urso che incontrando le Rsu e i dipendenti Sanac a Cagliari, una delle aziende dell’indotto alla prese con una grave crisi gestionale e occupazionale, ha rassicurato: «Entro giugno ci sarà un piano siderurgico nazionale» e «in settimana il governo riuscirà a dare una svolta netta per la governance di Acciaieria d’Italia».

Nel pomeriggio invece è arrivata la sceneggiata di Lucia Morselli. L’ad di Acciaierie d’Italia in quota Mittal, ha incontrato fuori lo stabilimento di Taranto gli imprenditori dell’indotto, dichiarando enfaticamente: «Quello che ho fatto è tenere acceso lo stabilimento, l’ho disperatamente voluto tenere acceso e continuo a tenerlo acceso per non pregiudicare la sicurezza», dicendosi poi sicura che un accordo per la sopravvivenza dello stabilimento di Taranto «è vicino».

PAROLE «PERFIDE» da parte di chi in realtà ha scientemente ridotto la produzione al lumicino, seguendo la richiesta della proprietà franco-indiana di non investire più un euro nella società. Di più: Morselli, così facendo, ha messo a repentaglio la sicurezza dei lavoratori di Taranto. La notte del 4 febbraio si è sfiorata la tragedia per un incendio nelle cokerie, proprio a causa della mancanza di manutenzione.
Nel frattempo l’ultima mossa di Acciaierie d’Italia e Morselli è un vero boicottaggio: non fornirebbe le informazioni necessarie alla Sace per attuare il salvataggio dell’indotto, come previsto dall’ultimo decreto.

IERI INTANTO È STATO RESO NOTO il parere dell’esperto nominato dal tribunale di Milano che ha portato a dichiarare impraticabile il piano di risanamento presentato dall’azienda sulla richiesta di Morselli di «misure cautelari» e «composizione negoziale» per evitare l’amministrazione straordinaria, chiesta dai sindacati e finalmente appoggiata dal governo: «la posizione dei soci è rimasta sostanzialmente immutata», scrive, «la situazione finanziaria delineatasi a seguito delle circostanze apprese in questi ultimi giorni è tale per cui ben difficilmente pare potersi ipotizzare una soluzione della crisi diversa da quella rappresentata dall’urgente ricorso ad una procedura che apra il concorso tra i creditori», evidenzia l’esperto. Bocciando totalmente la richiesta di Mittal.

NEL MENTRE CONTINUANO le audizioni in Senato, per la conversione del decreto legge 4/2024, l’ennesimo «salva Ilva». Per Lunetta Franco di Legambiente è gravissimo che nel decreto non compaia mai la parola salute in un territorio, come quello di Taranto, definito dai relatori Onu «zona di sacrificio» ossia tra le aree più degradate e inquinate del mondo. Anche Arpa Puglia evidenzia che le emissioni di benzene, noto cancerogeno, sono in costante crescita nonostante la produzione in calo. Secondo Arpa la valutazione del danno sanitario deve essere integrata al rilascio dell’Aia (Autorizzazione integrata ambientale) ricordando che lo Stato italiano è già stato condannato dalla Cedu (nel 2019) per non avere difeso la salute dei Tarantini. «Un impianto che inquina e non fa nemmeno profitto» stigmatizza Alessandro Marescotti, portavoce di Peacelink, facendo riferimento all’impressionante cifra di 3,1 miliardi di euro di debiti di AdI.

«DI FRONTE A QUESTA ABNORME situazione di indebitamento – prosegue Marescotti – il prestito di 320 milioni deciso dal governo appare come un disperato tentativo di rimandare un incombente fallimento. La concessione del prestito rischia però di far proseguire il preoccupante trend crescente del benzene cancerogeno: lo Stato può consentire con un prestito la prosecuzione di un’attività che mette in pericolo la salute, in particolare quella dei bambini? – chiede Marescotti in Senato -. La nostra posizione è nessun prestito per proseguire questa attività pericolosa per la salute». In subordine, Peacelink propone due emendamenti al ddl: il primo per vincolare i prestiti statali al «non superamento della soglia di 27 microgrammi a metro cubo di benzene quale media oraria. In caso di 3 sforamenti (nel 2023 sono stati 32) i prestiti dovranno essere sospesi. I superamenti negli anni successivi non potranno essere più di uno all’anno». Il secondo chiede «un piano di riconversione e di reimpiego delle maestranze, utilizzando in particolare fondi per i nuovi armamenti, a partire dal programma Gcap-Tempest inserito nel Documento programmatico pluriennale i cui fondi sono 5 miliardi». Ossia dirottare fondi dedicati al comparto militare verso la bonifica e la riconversione di una delle aree più contaminate d’Italia.

AD APRILE SARÀ LA CORTE di Giustizia Europea ad esprimersi sul ricorso intentato da centinaia di cittadini di Taranto danneggiati dall’inquinamento: un parere favorevole (come già lo è stato il parere dell’avvocatura della Corte Europea a dicembre), potrebbe fermare gli impianti e aprire le porte alle richieste di risarcimento dei cittadini.