I formaggi a latte crudo sono al centro di Cheese, le forme del latte, manifestazione internazionale dedicata al mondo lattiero-caseario di qualità, a ingresso libero per le vie e le piazze di Bra (Cuneo) dal 15 al 18 settembre. Siamo partiti dal latte crudo e, dopo 20 anni, torniamo al latte crudo. Un passo indietro forse? Io dico di no. Venti anni fa abbiamo inaugurato la prima edizione di Cheese ponendo questo tema al centro: era necessario richiamare l’attenzione sul latte crudo, evitarne discriminazioni e critiche, farlo conoscere ai consumatori e raccontare al mondo l’unicità delle sue produzioni. Ci siamo armati e siamo partiti.

Sono stati vent’anni di battaglie, di nuovi compagni di squadra, di aperture a tematiche sempre più complesse (dal benessere animale all’origine del latte, dalla tutela dei territori marginali alla sfida del naturale), di nuovi progetti e di coinvolgimento di paesi dove produrre a latte crudo è vietato per legge. Abbiamo conosciuto bene il valore del latte crudo e abbiamo preso piena consapevolezza che, se vogliamo ottenere un formaggio buono, con personalità, complesso dobbiamo richiedere latte crudo appunto e tecniche di trasformazione naturali. E allora perché parlarne di nuovo?

Primo perché ci sembrava doveroso fermarci, riflettere sulla situazione attuale e chiamare a raccolta la rete di casari, produttori, tecnici ed esperti che, con Slow Food, condividono questa battaglia. Secondo perché è bene non dare così per scontato, ma ribadire, informare, comunicare.

E terzo perché si leva un grido di allarme dal settore delle produzioni artigianali. Sempre più il mercato porta verso una progressiva concentrazione produttiva, tanto che negli ultimi dieci anni il numero di aziende zootecniche è diminuito drasticamente mentre ne sono aumentate le dimensioni. Sempre meno e sempre più grandi. Con bovini alimentati con mangimi a base di soia e insilati di mais, i capi allevati spesso privi di spazi e di pascoli adeguati, producono un latte privo di legame con il territorio che viene per lo più pastorizzato (solo il 39% per disciplinari delle Dop europee impone la lavorazione del latte crudo). Le razze allevate non sono più quelle rustiche, locali, ma quasi sempre sono razze iperproduttive. Infine, i processi di caseificazione sono aiutati e semplificati da additivi e fermenti selezionati, le stagionature abbreviate e realizzate in celle. Intanto, nei paesi dell’est Europa, i pastori e i piccoli produttori sopravvissuti alla livella sovietica si trovano stretti tra la tenaglia delle regole igieniche UE e le offerte di acquisto di imprenditori ansiosi di sfruttare condizioni economiche e sociali favorevoli.

Ci piace tutto questo? No. Non è il mondo che vorremmo. E non è la direzione che auspicavamo vent’anni fa. Per noi la qualità dipende da territorio, storia e tecnica produttiva. Ogni artigiano che chiude bottega inceppa un processo di trasmissione ultrasecolare del sapere, è una campana a morto per la biodiversità e per la cultura gastronomica di una comunità. E chiude bottega perché il peso economico di tutte le produzioni artigianali vale poco più del 3% e dunque il destino di questo comparto non agita il sonno di chi decide le strategie in campo alimentare. Ad esempio sarebbe opportuno che le piccole produzioni potessero usufruire di un terzo marchio europeo specifico: Dop e Igp sono troppo onerose per gli artigiani. E poi tutti gli operatori sanitari dovrebbero applicare le stesse deroghe e le stesse indicazioni, cosa che purtroppo non sempre avviene. E tutto questo va a discapito direttamente del latte crudo, pratica più sensibile dal punto di vista igienico-sanitario.

La battaglia in difesa dei formaggi a latte crudo attraversa tutta la manifestazione, dalle Conferenze ai Laboratori del Gusto. Ma soprattutto, per la prima volta, il Mercato di Cheese presenta solo ed esclusivamente formaggi prodotti con latte non soggetto a pastorizzazione. Un segnale politico forte che rende concreto e tangibile quanto in questi anni Cheese ha fatto per far conoscere questi formaggi, simbolo delle produzioni casearie d’eccellenza per diversità di razze autoctone, autenticità del territorio in cui sono prodotti e saperi dei pastori e casari che li hanno trasformati.

Per questo è ancora necessario interrogarsi, capire. E informare, parlare ancora di latte crudo, fare rete, aiutare le situazioni più critiche, far sentire la voce dei piccoli presso le istituzioni, in primo luogo in Europa. Insomma, continuon le combat.

* Presidente della Fondazione Slow Food per la biodiversità