Sul tavolo di legno, tra un raggio di luce e l’ombra, è poggiato un quarto di melagrana con i suoi grani rossi: la foto è dello svedese J.H.Engström. A Daniele ricorda l’estate e «l’anguria o il cocomero, come si dice a Roma, la prima estate che ho fatto fuori dopo 7 anni dentro, perché mangiarlo dentro è una cosa, mangiarlo fuori tutta un’altra. Ha tutto un altro sapore». Frammenti del vissuto di un uomo stimolati dall’osservazione di un’immagine a lui estranea ma condivisibile: la fotografia come dispositivo per attivare memorie personali, stimolare associazioni, osservazioni, ma soprattutto permettere alle emozioni di affiorare libere, incondizionate.

Una foto di Michael Ackerman tratta da “Everyday Shoes”

OBIETTIVO PERSEGUITO dal fotografo romano Guido Gazzilli che, insieme a Ludovica Rosi, è autore del libro Everyday Shoes (Nfc Edizioni, pp. 224, euro 48). «La prima foto è quella dove si vedono le nuvole, l’ho scelta perché rappresenta la mia vita, sempre confusa, le mie fragilità; l’incapacità di prendere una decisione», scrive Antonio. «Salve a tutti mi chiamo Alberto. Io non ho mai guardato le fotografie degli altri e questo progetto all’inizio mi faceva un po’ paura.

Mi ha spinto ad andare avanti il fatto che non ci è stata impostata nessuna regola, potevamo dire tutto quello che volevamo. Per noi in carcere questo è importante perché tutti pensano di poterci leggere nel pensiero, noi teniamo tutto dentro. Ho scelto ‘sti sassi, ma che so ‘sti sassi? Invece mi ricorda l’infanzia mia che andavo a raccoglierli, per tantissime ore e poi con la mazzafionda li tiravo dappertutto, a casa non me li sono mai portati. E per assurdo ora, a distanza di 50 anni, sto a raccogliere i sassi un’altra volta…».

«EVERYDAY SHOES» è il «racconto senza pause» del progetto iniziato nel 2015 in giro per le carceri italiane: le foto di 22 autrici e autori internazionali (tra loro Michael Ackerman, Roger Ballen, Adam Cohen, Massimo Nicolaci, Veronica Daltri, Angelo Turetta) mostrate ai detenuti hanno dato vita ad un incontro con loro fuori dagli schemi, «durante il quale si sono confidati, fidandosi, forse grazie alla fotografia, di noi, degli altri detenuti e del progetto», come sottolineano Guido Gazzilli e Ludovica Rosi. Il volume contiene anche una serie di ritratti in bianco e nero dei protagonisti realizzate da Gazzilli.

Quanto al titolo Everyday Shoes si riferisce alla prima volta in cui il fotografo è entrato in un carcere: «Ho trovato scarpe pulite. Questa è la cosa che mi colpì. Le scarpe sempre pulitissime dei detenuti. Continuamente mi sono chiesto, come facessero a ricevere sempre tutte queste scarpe nuove. Da chi le ricevessero, e perché proprio le scarpe. Ogni volta che tornavo dentro mi fissavo su questo dettaglio, impossibile da non vedere e duro da accettare. Un giorno durante un incontro con gli ospiti del carcere di Rebibbia chiesi a uno di loro: Perché avete ai piedi delle sneakers perfette? Come fate? Lui mi rispose: Chi è privato della libertà e si trova in questi luoghi ha le scarpe sempre candide e pulite di chi fa pochi passi, di chi non può sporcarle con la pioggia, il fango e la polvere, di chi non cammina più fuori ed è sempre costretto a fare su e giù in un corridoio…».