Convertitosi al cattolicesimo, Evelyn Waugh abbandona la sua brillante maniera satirica per una scrittura godibile perché trasparente, facile perché nostalgica, partecipe della nostra drammatica attualità. Il passato per lui è innestato al presente e l’uno si legge nell’altro. Così promette il titolo del romanzo considerato il suo capolavoro Brideshead Revisited: The Sacred and Profane Memories of Captain Charles Ryder che uscì nel 1945, oggi elegantemente tradotto da Ottavio Fatica: Ritorno a Brideshead (Feltrinelli «Comete», prefazione di Alessandro Piperno, pp. 424, euro 22,00). Charles Ryder, protestante, borghese, narratore di questo romanzo storico ma nascostamente autobiografico, omette l’antefatto dell’antica vicenda. Fu il 5 novembre 1605 il giorno in cui fu tentato il primo atto moderno di terrorismo, il Gunpowder Plot. I cattolici, subito sospettati, avrebbero progettato di far saltare in aria con una forte carica esplosiva il parlamento inglese insieme al re Giacomo I.

Seguì nell’immediata vendetta della Guy Fawkes Night la caccia mortale al prete. Severe sanzioni furono emesse contro i dissidenti protestanti e cattolici che non avessero prestato giuramento alla nuova chiesa anglicana, divenuta chiesa di stato. Con un Act of Uniformity furono privati dei diritti civili e politici i non juror. «Cattolico romano» venne chiamato chi non rispettasse l’obbligo di abiurare all’autorità atemporale e spirituale del papa, e non negasse il dogma della transustanziazione, principio fondamentale della dottrina cattolica, sacramentale, legato a gesti non sostituibili.

Seguirono nel Settecento e nell’Ottocento vari interventi legislativi che ribadivano le severe restrizioni a quella minoranza di nobili, famiglie cattoliche colpite non nelle ricchezze ma nella fede, nella promessa evangelica che aveva nutrito la mistica inglese sin dal medioevo: «la via che non ha nome» (La nube della non conoscenza, trad. P. Boitani, Adelphi 1998). Da Roma arrivarono gesuiti missionari votati al martirio per assolvere ai doveri sacramentali, e le grandi ville gotiche o barocche si attrezzarono per nascondere il loro prete sotto la botola o dietro la finta parete. L’agiografia del gesuita, poeta e polemista Edmund Campion, torturato e condannato a morte come traditore, fu pubblicata da Waugh nel 1935. Su pressione da parte dell’opinione pubblica, dell’Irlanda cattolica e delle colonie cattoliche del Canada, nel 1829 il Roman Catholic Relief Act abolì le restrizioni penali, ma restavano altri obblighi meno importanti.

Da quella non dimenticata storia dei cattolici romani era scaturito un odio politico che era anche estetico, destinato a dividere forse per sempre la chiesa d’Inghilterra da quella di Roma. Waugh se ne invaghì e inventò come protagonista un santo beone, Sebastian, che affoga nell’alcol la sua impotente carità e la preziosa sorella Julia, di devota e sterile bellezza. «La loro era la tipica storia dei signorotti cattolici inglesi che dal regno di Elisabetta a quello della regina Vittoria avevano condotto vita ritirata, tra affittuari e parentado, mandavano a studiare i figli all’estero, dove prendevano moglie, quando non si sposavano tra loro, nella ristretta cerchia di famiglie della stessa fede, impossibilitati a far carriera, apprendendo, con quelle generazioni svanite, lezioni riscontrabili ancora nell’esistenza di quegli ultimi tre rampolli della stirpe».

Dal dicembre del 1943 alla primavera del ’44 Waugh scrisse Ritorno a Brideshead, assistito da Shakespeare e Hopkins. Dagli anni di Oxford, emerge l’amato Sebastian, di eccezionale bellezza, grazia, infantile perversità (piccoli furti agli amici, le lunghe confessioni, il cameratismo, l’alcolismo…). Spassosissimo quando compra la spazzola d’avorio e d’oro per punire il suo simbolico sé, l’orsacchiotto Aloisios, dal santo da cui prende il nome. Di origine shakespeariana, Sebastian compare in La dodicesima notte, insieme alla sorella gemella Viola. Sono una coppia di sesso diverso ma simili in tutto, che intrecciano i propri destini amorosi come cambiano d’abito. Anche l’orsacchiotto di pezza che Sebastian porta sempre con sé affettuosamente, non è dimenticato.

Infatti il duca Orsino finirà con lo sposare il suo paggio Viola-Sebastian, mentre Sebastian a sua volta sposerà Olivia, palindromo di Viola. Tutta la famiglia di cattolici romani è considerata terribile dagli amici protestanti di Sebastian, incomprensibile, bizzarra, fisicamente e psicologicamente. Il fratello maggiore, Brideshead, «è qualcosa di arcaico, emerso da un sotterraneo dove è rimasto sigillato per secoli. Ha una faccia che si direbbe il ritratto di Sebastian fatto da uno scultore azteco…». La sorella Julia – confida Charles – «somigliava a tal segno a Sebastian che seduto accanto a lei nella crescente oscurità ero confuso dalla duplice falsa impressione di familiarità e di estraneità». In lei, l’amico continua ad amare il fratello. La coppia sfida il perbenismo protestante. Romanzesca è invece la madre, Lady Marchmaid, «bella, bellissima, nessun artificio, i capelli che cominciano a ingrigire in eleganti striature argentee, niente rossetto, pallidissima, gli occhi enormi, incredibile quanto paiono grandi e come le palpebre siano venate di azzurro». Lei impersona la grazia liturgica e l’ortodossia cattolica, che impugna energicamente, e con essa e per essa governa la famiglia, gli amici, gli alleati politici.

Arriva persino alle autorità cattoliche di Oxford che possano controllare il figlio ribelle, la pecorella smarrita, Sebastian. Il marito, Lord Marchmaid, l’aveva lasciata in preghiera nella cappella quando era andato in esilio a Venezia, abbandonando la villa, la proprietà, i figli per vivere in povertà con la donna amata. Tornerà a Brideshead per morire nel letto della regina, arreso alla vecchia fede. Quando giunge il prete con l’estrema unzione, Charles, il protestante, avverte riaprirsi la odiosa antica ferita tra sé e l’amata Julia. Il matrimonio appare impossibile. La sorella minore, Cordelia, di origine shakespeariana anche lei, ha incontrato Sebastian, il bambino invecchiato nella sua dolorosa, anche se ormai libera, maniera di vivere. Un bel giorno, alla fine del suo percorso di redenzione, sarà accolto in un convento di frati, e farà il vice portiere, guadagnandosi «gloria e folgorio dell’impresa» promesse da Hopkins al santo Alfonso Rodriguez, che fece quell’umile lavoro per quarant’anni!

Lontano da Brideshead il romanzo impoverisce. La vita di Charles, artista riconosciuto, sposato, viaggiatore, fortunato, autore di bellissimi libri sulle emblematiche ville inglesi che hanno rappresentato secoli di cultura, perde di imprevisti, e di fascino. Si è disperso anche il sospetto odore di sacrestia, sfidato dall’intensità del dramma politico e religioso della storia raccontata, realmente sofferta. Verso la fine della seconda guerra mondiale, il tenente Charles Ryder è tornato a Brideshead per oscura volontà del destino, e ha fatto sistemare la truppa nella spoglia, abbandonata, antica villa. Ha salutato la vecchia tata, il prete senza casa, un vecchio servitore. Julia, diventata l’erede a dispetto del tradizionale diritto maschile, vive a Londra. Charles, che è pittore di architetture, conosce bene le vecchie pietre del primitivo castello, e le moderne pareti da lui affrescate un tempo. «Qualcosa di quanto mai remoto fu ritrovato da Charles fuori dalla piccola feroce tragedia umana nella quale aveva recitato, qualcosa di cui nessuno di noi all’epoca aveva pensato, una fiammella rossa – una lampada di rame battuto di pessima fattura, riaccesa davanti agli sportelli di rame di un tabernacolo». Con una certa allegria in cuore la vede di nuovo «ardente tra le antiche pietre». Il bravo Ryder ha riconosciuto il simbolo originario del sacro.