Intercetta gli sguardi di moderne figure mitologiche, Evangelia Kranioti (Atene 1979, vive e lavora a Parigi), durante la ricerca che l’ha portata a esplorare quel mondo liminale in cui si muove un’umanità in ombra. Uno sguardo sulla bellezza che l’artista greca, vincitrice del premio Madame Figaro/Women in Motion – Kering ai Rencontres d’Arles 2019, indirizza verso il rituale quotidiano dei gesti, portando in primo piano figure archetipiche che appartengono ad un «mondo inesplorato di ambizioni, sogni, miti, paure», come è lei stessa ad affermare. Durante la sua residenza a Roma come borsista dell’Accademia di Francia a Villa Medici (settembre 2021/agosto 2022) Kranioti che utilizza indistintamente il linguaggio fotografico, quello filmico (nel 2015 il suo primo lungometraggio Exotica, Erotica, Etc. ha ricevuto diversi riconoscimenti tra cui l’Hellenic Film Academy Award for Best Documentary) e della video installazione si è concentrata su Hermes, divinità della mitologica greca esportata nell’antica Roma con il nome di Mercurio (figlio di Zeus e della ninfa Maia, messaggero degli Dei e, tra gli altri, protettore dei viaggi e dei viaggiatori), realizzando Les messagers attualmente esposto a Roma nella mostra dei borsisti di Villa Medici Étincelles / Scintille, a cura di Saverio Verini (fino al 7 agosto).

Un progetto fotografico e filmico (Tutte le strade è il cortometraggio di 6’20) in cui affronta il tema delle migrazioni nel Mediterraneo, affidando le teste scultoree di Hermes a donne e uomini provenienti da Senegal, Nigeria, Gambia, Somalia, Eritrea ed Etiopia che le portano con sé camminando per le strade della Città Eterna.

In «Les messagers» il tema delle migrazioni incontra quello dell’antichità greco-romana…
Nel tempo ho iniziato ad interessarmi alle comunità di immigrati, stranieri che si trovano in un paese diverso da quello natìo, in Grecia, Egitto, Libano. Ogni individuo o comunità, in un modo o nell’altro, è emarginato. A Roma, lavorando alla sceneggiatura di un progetto futuro che sarà sviluppato ad Atene che è collegato con tutte le mie esperienze con i migranti, ho scoperto la connessione con la mitologia greca attraverso la figura di Hermes, il messaggero degli dei. Come greca ho sentito che le mie origini erano legate all’Italia, in particolare a Roma, proprio per via della presenza hors-champ (fuori campo) dell’antichità che è tutt’intorno e che mi ha permesso di capire quello che è stato il suo percorso prima che venisse dimenticata e poi riscoperta con il Rinascimento. Nel giardino di Villa Medici ho visto che ad ogni incrocio c’erano delle erme, i primi avatar di Hermes: infatti, da teste scultoree sono diventate delle colonne quadrate che segnavano il territorio definendone i confini. Dalla rappresentazione della figura del dio, quindi, c’era stata una trasformazione. Partendo da quest’esperienza ho cominciato a guardarmi intorno, lavorando sempre sul tema della migrazione ma avvicinandomi anche ai senzatetto, altro tema che m’interessa molto. Ho contattato delle associazioni e delle persone particolarmente coinvolte con l’alterità, come Mama Termini con TerminiTV o il giornalista egiziano Maaty El Sandoubi che è il personaggio principale del mio corto. È stato bellissimo vedere l’attività che c’è intorno alla gente che vive in strada in condizioni precarie. Nel mio percorso solitario transito sempre verso la collettività, incontrando moltissime persone. La mia origine, l’antichità e gli immigrati sono i tre elementi che si sono cristallizzati facendo sì che il mio pensiero prendesse forma nelle copie che ho realizzato delle teste di Hermes presenti nel giardino di Villa Medici, simbolo del passato greco-romano e della sua eredità nella storia d’Europa e del mondo occidentale e che ho dato ad immigrati africani che le portano con sé camminando per le strade di Roma.

I protagonisti di «Tutte le strade» camminano sotto i portici di piazza Vittorio Emanuele e la tangenziale allo Scalo San Lorenzo…
Sì, anche intorno alla stazione Termini, verso Porta Maggiore. Luoghi di confine tra il centro e una certa periferia, abitati soprattutto da stranieri in cui vedo l’incarnazione di qualcosa di antico e allo stesso tempo molto contemporaneo.

Hai scelto di filmare e fotografare soprattutto al crepuscolo…
La luce del tramonto rappresenta la frontiera del limite in cui si muove Hermes, il personaggio principale, attraverso i suoi diversi avatar che diventano messaggeri. È così, infatti, che vedo ogni persona che viene da fuori con la sua speranza, il suo messaggio, il suo segreto e anche il peso del passato che può essere un enigma. L’idea di testa può essere qualsiasi cosa e allo stesso tempo è la testa di un’idea, un simbolo manipolato da altri simboli in una città che è essa stessa un simbolo di Città Eterna attraversata da qualcosa di effimero.
Anche per questo nel film ho usato un’aria di Händel che mi piace molto, il momento in cui Giulio Cesare in Giulio Cesare in Egitto vede il suo nemico Pompeo morto ma con cui avrebbe voluto fare pace. È l’anima di Pompeo che canta e tutto il soggetto è sic transit gloria mundi, così passa la gloria del mondo. Nel film ci sono tutte queste cose e il contrasto che è proprio di Roma: il tempo, l’eternità, il marmo antico e le anime delle persone che lo usano camminando.
Ho scelto i momenti crepuscolari anche perché sono i più belli. Hermes, poi, è il dio del viaggio, del passaggio, dei viaggiatori ed è anche psicopompo perché accompagna le anime dei morti, quindi c’è sempre l’idea di un flusso.
Nel movimento le cose non sono mai statiche, cambiano. Quando filmi all’alba o al tramonto sai che hai un tempo molto limitato in cui la luce nasce o se ne va, come le comunità che sono allo stesso tempo visibili e invisibili.

I tuoi progetti partono sempre dall’indagine sociale per esplorare aspetti psicologici legati all’emigrazione, dislocamento, emarginazione. C’è differenza nell’uso del linguaggio fotografico rispetto all’immagine in movimento?
Sì. Filmare è un atto più libero ma più complicato. Il progetto nasce comunque dalla fotografia perché c’è sempre un’idea della luce. Ma nell’immagine in movimento le sfide sono maggiori, perché oltre all’inquadratura, alla «luce istantanea» o a qualsiasi altro tipo di luce hai a che fare con la durata del tempo, un momento in cui può succedere tutto. È come la vita ed è affascinante e di grande ispirazione la ricerca – una costante del mio lavoro – di figure archetipiche che arrivano dalla mitologia, come Ulisse, Dioniso o, in questo caso, Hermes e provare a dare un’occhiata a questi simboli nella vita di tutti i giorni della gente comune. È ancora più affascinante quando hai la sensazione di seguire qualcuno che non lo sa, ma sta vivendo come centinaia di anni fa e ti cattura per via di un’espressione, un gesto, qualcosa di troppo vecchio celato all’interno del suo essere. Qualcosa che succede e lei o lui lo portano fuori da sé. Certe volte per captare questo respiro, questo sguardo, qualcosa di semplice, effimero, rapido e renderlo il più vicino al reale, ti devi dirigere verso un cammino più difficile e complesso.

Hai citato l’opera lirica di Georg Friedrich Händel, tra l’altro hai studiato pianoforte al Conservatorio Nazionale di Atene, c’è relazione tra il tuo sguardo e la musica?
Il ritmo! Questo l’ho capito nel montaggio. Il ritmo è una questione di tempo e la storia è come una frase musicale. In Tutte le strade ho fatto pronunciare dai protagonisti le «frasi» delle vie di Roma.
Ho scelto i nomi delle vie perché mi piacevano o per via della connessione con il soggetto, come la via del Mare che è quella che prendono i migranti per arrivare qui. Ho inserito anche un nome di strada che a Roma non esiste: via Eterna. C’è sempre una frontiera tra realtà e finzione.

La finzione è uno strumento per amplificare il reale?
La finzione nasce dal reale. Mi interessano le potenzialità della finzione che sono presenti nel reale. Il momento in cui sei in un caffè e ti passa davanti una persona che diventa l’ispirazione, anche quando il lavoro è più documentario, per un personaggio che è reale ma allo stesso tempo fa parte della costruzione di un sogno.