«Molti di noi viaggiano per ampliare i propri orizzonti, fare nuove esperienze e conoscere nuove culture. Ma di culture se ne trovano in abbondanza a ogni angolo di strada: quelle delle formiche, dei piccioni, dei gatti, delle lepri, delle mucche, a seconda di dove si vive».
La filosofa e ricercatrice olandese Eva Meijer ci parla proprio di queste culture vicine ma poco conosciute e delle lingue che le attraversano. Nel libro Linguaggi animali. Le conversazioni del mondo vivente (Nottetempo, pp. 256, euro 18, traduzione di Stefano Musilli), la studiosa tratteggia i contorni dei dialoghi già esistenti e di quelli che potremmo cominciare a costruire con gli animali non umani. In sette appassionanti capitoli si insiste sul valore dello studio dei linguaggi, non solo per scoprire come funziona la interlocuzione tra animali ma anche per indagare il loro modo di comunicare con noi e mostrarci mondi della vita che non solo non conosciamo ma fatichiamo a immaginare.

Nella tradizione filosofica occidentale gli animali sono quasi totalmente assenti. La loro intelligenza valutata in termini umani, comparata alla nostra e spesso screditata. Quali sono i frutti degli studi che esulano da questo tipo di comparazione?
Per molto tempo, gli animali non umani sono stati studiati per conoscere qualcosa sugli umani. Un buon esempio è lo studio del linguaggio. Scimpanzé e gorilla, delfini, pappagalli e animali di altre specie sono stati tenuti in cattività e gli umani hanno cercato di insegnare loro a parlare il linguaggio umano. Questo tipo di ricerca li ha fatti sembrare inferiori e ha impedito di conoscere effettivamente i loro linguaggi.
Il linguaggio è importante perché è connesso all’azione sociale e politica. Le idee su come gli esseri umani possono conoscere gli animali stanno attualmente cambiando in diversi campi di studio. In biologia ed etologia c’è sempre più attenzione per la prospettiva animale. Ad esempio, nello studio delle lingue animali il linguaggio umano non è più preso come modello, vengono invece studiati modi di espressione specifici delle specie. Si scopre che gli animali parlano, anche se sappiamo ancora poco di quello che dicono. Alcuni esempi: i pipistrelli discutono molto e si sa che spettegolano anche. Alcuni animali parlano anche di noi – polli, cani della prateria; i cani della prateria descrivono gli umani nel dettaglio, incluso il colore dei capelli. Molti animali hanno culture, come gli elefanti, e usano il linguaggio per coltivare e trasmettere la propria.
La grande domanda dei nostri tempi (nel contesto del disastro climatico, della perdita di biodiversità e dell’estinzione delle specie) è ripensare cosa significa «umano». Guardare in modo diverso agli animali potrebbe aiutare.

Può spiegarci cos’è l’«interazione interspecifica» e in che modo la comunicazione tra le specie riesce a plasmare i mondi condivisi con gli animali – i nostri corpi e le nostre menti ma anche i loro?
La comunicazione interspecifica esiste, e persino il linguaggio interspecifico. Ci sono le comunicazioni più prossime – come con gli animali domestici con cui condividiamo le nostre vite – ma anche le più distanti, come con gli animali selvatici. I processi di addomesticamento sono spesso problematici, utilitaristici, ma hanno anche creato una grande comprensione tra alcune specie. Questo ci permette di chiedere agli animali cosa vogliono dalla vita e dagli umani. Gli esseri umani attualmente influenzano molto la vita degli animali. I rapporti di dominazione dovrebbero finire, invece le relazioni – che sono inevitabili – possono anche essere fonte di gioia, per gli umani e gli animali. Per formare con loro nuovi o migliori mondi della vita, dobbiamo chiedere loro cosa vogliono. Imparare a parlare con loro, ascoltando (che è difficile per gli umani) o tacendo – quindi non in modo colonialistico, ma alle loro condizioni – fa parte del prenderli sul serio.

Parlando di linguaggio, lei allude anche a forme di comunicazione politica con gli animali, domestici e selvatici.
Esistono molti tipi di comunicazione politica: i conflitti con animali selvatici, animali da lavoro che resistono, esseri umani e animali che cooperano. L’animale esercita l’agire politico, anche quando non è riconosciuto. Ci mancano le istituzioni, le pratiche e i concetti per riconoscere molte di queste interazioni e per prenderle sul serio. Un esempio: nei Paesi Bassi le oche selvatiche sollevano discussioni. Ce ne sono troppe sui terreni degli agricoltori e rappresentano anche un rischio per la sicurezza aerea. Si parla molto delle oche, tra contadini, politici, attivisti, all’aeroporto di Schiphol. Ma le oche non vengono consultate. Vengono uccise e uccidere non aiuta perché nuove oche arriveranno se le condizioni rimangono le stesse. Dovremmo accettare la presenza delle oche, riconoscendo che anche per loro rappresentiamo un rischio. Uccidere non è mai una soluzione.
Comunicare con le oche sarebbe più giusto ed efficace, Konrad Lorenz le ha definite le migliori amiche degli umani dopo i cani. Imparano. E la conoscenza culturale potrebbe includere queste conversazioni con gli umani.

Nel vasto repertorio dell’ignoranza umana sta anche la non considerazione di quella che è la «resistenza animale». Lei spiega infatti come nelle interazioni tra animali da allevamento e allevatori la repressione della resistenza degli animali, pur essendo costante, sia misconosciuta ai più.
La resistenza degli animali è molto diffusa. Anche negli spazi dove essi hanno pochissima libertà di muoversi, essi cercheranno di resistere. Si pensi agli animali nei macelli che cercano di scappare (e raramente ci riescono), agli animali nei laboratori che girano la testa dall’altra parte. Ci sono esempi noti, come l’orca Tilikum che è stata costretta a lavorare nel parco acquatico «Sea World» a Orlando e che ha ucciso degli umani, o di animali da fattoria che occasionalmente feriscono o addirittura uccidono gli umani. Il filosofo Dinesh Wadiwel ha scritto che, sebbene non riconosciamo la resistenza degli animali, ne riscontriamo le misure di contenimento ovunque. Nelle stalle, negli ami da pesca. L’agentività e la resistenza animale sono represse in molti casi, ma non è nemmeno troppo difficile trovarle.
Imparare a vedere in modo diverso è importante per pensare agli animali. Scrivere dei linguaggi animali mi ha permesso di vedere il mondo come un posto molto più vivo, perché ora so di più sui loro modi di essere, amicizie, amori, culture. Questo è spesso fonte di tristezza per i danni che arrechiamo loro, continuamente, ma anche di bellezza, e un costante promemoria a fare meglio.