Gli appassionati d’arte contemporanea lo sanno, appena l’inverno entra nei suoi mesi più intensi, a Bologna è tempo di Arte Fiera. E come di consueto accanto alle opere in mostra e in vendita negli stand fieristici, la città apre alcuni dei suoi luoghi più affascinanti e segreti, come il LabOratorio degli Angeli.

GLI SPAZI dell’ex Oratorio, generalmente vissuti come quelli di un atelier di restauro, ospitano, infatti, la mostra Guarda caso di Eva Marisaldi, festeggiando il decimo anno di eventi espositivi organizzati in occasione di Art City. Il progetto, in collaborazione con la Galleria De’ Foscherari, è stato curato da Leonardo Regano che presenta così l’intervento: «Marisaldi mette in scena un immaginario archivio, arbitrariamente composto partendo da una serie di ’ritrovamenti’ casuali e inglobando materiali eterogenei come disegni, incisioni, album di ingegneria, pagine di antichi volumi, sculture, piccole suppellettili accostati ad una personale rielaborazione».
La ricerca dell’artista bolognese dagli anni Novanta esplora le strade più impervie del sensibile per dare luce a ciò che spesso è impercettibile, restituendolo al quotidiano, mitigando la sua estraneità attraverso una veste più intima e familiare. Questo svelamento è il risultato di un dialogo costante con lo spazio, dialogo che, anche in questo caso, Eva Marisaldi non tradisce.

Eva Marisaldi, Parties II, 2006

Le sue opere, disseminate qua e là, sono infatti difficili da individuare singolarmente, perché sono mescolate con il vissuto del laboratorio, visto come archivio di oggetti stratificati dal tempo, da cui lei stessa attinge, come nel caso del ritrovamento fortuito di un’incisione in restauro raffigurante Santa Maddalena de’ Pazzi. La Santa che già aveva incontrato nel suo percorso da artista quando, nel 1992 allo Studio Guenzani, aveva realizzato la performance Changing bags, ispirandosi all’uso che la suora carmelitana faceva delle parole: non le scriveva ma le dettava alle consorelle.

COSÌ SU UNO DEI GRANDI tavoli del laboratorio sono adagiate le diverse testimonianze di questo incontro: l’incisione ritrovata nel laboratorio si combina con gli oggetti provenienti dall’archivio personale, come il libro Le parole dell’estasi e le tracce della performance del 1992, e con un intervento grafico caratterizzato da disegni che paiono «nuvole di scarabocchi ritmici e ricorrenti», realizzati mediante un dispositivo robotico prodotto in collaborazione con Enrico Serotti.
Oltre la sala principale anche la biblioteca diventa un luogo espositivo grazie all’opera sonora 3000 pagine, dove un mare di carta avvolge il visitatore: il suono infatti che invade lo spazio è quello realizzato in occasione di un’azione collettiva in cui un gruppo di volontari è stato invitato dall’artista a sfogliare all’unisono le pagine di un elenco telefonico sotto la direzione del musicista Serotti.
Un omaggio quest’ultimo al laboratorio, che si prende cura in particolar modo di quel materiale tanto fragile quanto prezioso che è la carta, sfidando il tempo per a lui consegnarla.