Il trono non poteva restare vacante. All’indomani dalla caduta di Martin Winterkorn ieri è stato già reso noto il nome del nuovo numero uno della Volkswagen: Matthias Müller, finora alla guida della Porsche, il fiore all’occhiello del gruppo. La nomina ufficiale sarà oggi, ma ieri dai piani alti dell’azienda di Wolfsburg è stato fatto trapelare il nome alla stampa: segno che per nemmeno un minuto può essere tollerato un vuoto di potere, perché il momento è drammatico.

Ogni giorno che passa, infatti, porta con sé l’aggravarsi dello scandalo che colpisce la principale casa automobilistica tedesca, e il conseguente addensarsi di nubi sempre più nere all’orizzonte.
Ciò che all’inizio sembrava enorme – mezzo milione di auto diesel «truccate» negli Stati Uniti, e il rischio di 18 miliardi di multa – ormai sembra una bazzecola: le auto a motore diesel sono appena il 3% di quelle vendute nel 2014 negli Usa, mentre nell’Europa occidentale sono il 53%.

Ieri il ministro dei trasporti tedesco, il democristiano bavarese Alexander Dobrindt, ha reso noto di avere appreso direttamente dall’azienda che «anche in Europa autovetture con motori diesel 1,6 e 2,0 sono state manipolate». Quante siano, non è ancora chiaro: lo si saprà nei prossimi giorni, stando a quanto afferma il ministro. Nei giorni scorsi si parlava di 11 milioni di vetture, ma potrebbero essere di più. I funzionari incaricati di esaminare le auto incriminate non si limiteranno alle sole Volkswagen, ma controlleranno a campione anche quelle di altri marchi. Sicuramente manipolati sono alcuni modelli di Skoda e Seat, marchi che fanno parte dello stesso gruppo tedesco. E in un rincorrersi di voci spesso incontrollate, dietro le quali potrebbero anche esserci manovre speculative, ieri è finita nel calderone anche la Bmw, altra storica casa automobilistica della Repubblica federale (la base è a Monaco di Baviera), con oltre 100mila dipendenti e più di 2 milioni di veicoli prodotti nel 2014. L’accusa di avere falsificato i dati sulle emissioni viene dal magazine Auto-Bild, ma i responsabili dell’impresa bavarese negano. Smentite che non sono bastate a fare cadere in borsa il titolo: -5,15%.

La valanga di cause che investirà Volkswagen sarà la prima preoccupazione per il nuovo amministratore delegato. Di ieri è la notizia che si sta muovendo la giustizia messicana, ma ciò che spaventa davvero è quello che può accadere negli Usa: le «class action», al momento 37, ma anche processi penali ai danni dei dirigenti. E non solo: ieri i siti di informazione tedeschi riportavano con evidenza la notizia che anche la Procura della Repubblica di Torino, su iniziativa del pm Raffaele Guariniello, ha aperto un fascicolo, al momento contro ignoti, per verificare se la frode sulle emissioni riguardi anche i veicoli che circolano in Italia. E nei prossimi giorni altri magistrati potrebbero seguire l’esempio, perché ciascun acquirente o cittadino affetto da malattie respiratorie, ovunque in Europa sia stata venduta una macchina «truccata», è potenzialmente interessato a una causa contro Volkswagen.

Il ministro Graziano Delrio ha confermato ieri sera in tv che anche in Italia saranno controllate mille vetture «a campione».

In ogni caso, al di là di cosa avverrà nelle aule dei tribunali di mezzo mondo, il nuovo numero uno Müller dovrà in breve tempo, insieme ai membri del consiglio di sorveglianza (Aufsichtsrat), riorganizzare la governance dell’impresa: l’ex ad Winterkorn, infatti, non è l’unico ad avere rimesso il posto. Ieri sono saltate altre teste importanti, fra le quali quella di Heinz-Jacob Neusser, capo del dipartimento ricerca e sviluppo.

Sul versante politico si registra ancora il profilo basso della cancelliera Angela Merkel. Ieri mattina il dibattito generale al Bundestag era dedicato interamente alla questione dei profughi in vista del vertice europeo: chi si aspettava che la leader democristiana trovasse il modo di fare cenno allo scandalo Volkswagen è rimasto deluso. Dalle parti della Cdu ci si limita a parlare di «preoccupazione» e «sconcerto».

Molto critici con lo scarso impegno del governo nel fare piena luce sulla vicenda sono i Verdi: ieri sono stati sia Barbel Höhn, la presidente della commissione ambiente del parlamento, sia il capogruppo Toni Hofreiter a chiedere al ministro dei trasporti di far analizzare tutte le auto con motore diesel, e non solo un campione.

A dare voce all’opinione pubblica tedesca indignata è il quotidiano progressista die Taz: «La mentalità che sta dietro allo scandalo era possibile perché i governi, tanto a livello federale quanto regionale, hanno sempre coccolato la Volkswagen», si leggeva ieri in un durissimo commento a firma di Ulrike Fokken. «La frode era una precisa strategia», che né i socialdemocratici né i democristiani hanno mai voluto vedere. La grosse Koalition che governa il Paese, insomma, si fonda (anche) sui trucchi della Volkswagen.