I frugali attaccano e Giuseppe Conte rilancia. «Nei prossimi giorni presenteremo una proposta con una serie di idee» annuncia il cancelliere austriaco Sebastian Kurtz e non c’è bisogno di specificare che si tratta in realtà di una controproposta da opporre a quella franco-tedesca. Iniziativa legittima, per carità, specifica il cancelliere, però «la decisione va presa da tutti gli Stati membri». In cosa consisterà il contropiano che l’Austria si accinge a presentare con Olanda, Danimarca e Svezia lo chiarisce la sua ministra degli Esteri Karoline Edtstadler: «Una cosa è certa: i soldi che ora vanno a Italia, Spagna oppure Francia per superare la crisi vanno restituiti». Perché in ballo c’è la condivisione del debito e quella, per gli austriaci e gli olandesi anche se non più per i tedeschi, resta la bestia più nera.

CONTE SI ASPETTAVA resistenze e replica a muso duro. Quanto messo a disposizione dalla Ue sinora, ipotesi franco-tedesca di Recovery Fund inclusa, «non è all’altezza del necessario per mantenere a galla l’economia. Ci vuole molto di più». Con tanto di monito tagliente: «Basare la risposta al coronavirus su stereotipi distorti sarebbe più fuorviante che mai: alimenteremmo le fiamme del nazionalismo, allargheremmo le divisioni». In parte è una posizione assunta per controbilanciare la pressione dei frugali, in parte però è anche la consapevolezza di non poter reggere un Recovery Fund anche raddoppiato rispetto all’ipotesi di 500 miliardi di Merkel-Macron ma con un sovraccarico insostenibile sul debito pubblico.

Ma probabilmente la vera minaccia non è costituita dall’opposizione dei Paesi detti più o meno a proposito «nordici», anche perché la Germania ha strumenti potenti per condizionare Austria e Olanda mentre la strada potrebbe rivelarsi più difficile con la Danimarca, che non fa parte dell’Eurogruppo. La vera offensiva del fronte rigorista, tutt’altro che debellato nella stessa Germania, sarà un’altra e si riassume nella formula «riforme di struttura». Ieri, per la seconda volta in due giorni, la ha usata il vicepresidente della Commissione Valdis Dombrovskis, precisandone il significato: «Nel Recovery ci sarà un chiaro legame con le riforme» e ci saranno «raccomandazioni che fungeranno da guida nel preparare i piani nazionali di ripresa».

Si sa cosa abbia significato sinora nel lessico dell’Unione il termine «raccomandazioni». Il premier olandese Mark Rutte è più esplicito e più brutale. Annuncia anche lui la controproposta basata su prestiti e non su sovvenzioni ma aggiunge che «le nostre proposte renderanno molto chiaro che se chiedi aiuto devi attuare riforme di vasta portata per essere autosufficiente la prossima volta».

Rutte non usa la parola maledetta «memorandum» ma il significato è quello e dall’interno della maggioranza italiana se la capogruppo di LeU al Senato Loredana De Petris risponde: «Se per riforme s’intende indirizzare gli investimenti verso green economy e digitalizzazione benissimo, ma se invece si volesse tornare ai memorandum l’esito sarebbe anche peggiore che nel 2011». Che sia proprio quello l’obiettivo dei rigoristi è evidente. Resta però da vedere quanto spazio riusciranno a conquistare e molto dipenderà dalla capacità di Angela Merkel di non farsi spaventare dall’offensiva di AfD, che spara già ad alzo zero contro il piano franco-tedesco.

NON SI TRATTA PERÒ di un braccio di ferro limitato alla specifica circostanza eccezionale della crisi Covid. Sotto traccia corre una divaricazione nella quale la posta in gioco è l’intera fisionomia della Ue futura. Ovvio dunque che lo scontro si combatta anche sul fronte del patto di stabilità. Ieri Dombrovskis e Paolo Gentiloni hanno presentato il «pacchetto di primavera» con le tradizionali raccomandazioni ai vari Stati. Hanno preso atto dello sforamento del tetto del 3% da parte di tutti e 27 i Paesi ma hanno evitato rampogne di sorta. «Il coronavirus ci ha colpiti come un meteorite e ha lasciato un cratere nell’economia della Ue», spiega il vicepresidente. In queste condizioni ogni valutazione è per forza sospesa.

Già, ma fino a quando? In materia il lettone e l’italiano rivelano sensibilità più opposte che diverse. «Ne riparliamo in autunno», azzarda Dombrovskis anche se poi ammette che non si possono mettere date. Però al momento buono «ripartiremo dai livelli di deficit e debito degli Stati membri». Gentiloni è più vago: «Quando la situazione cambierà prenderemo delle decisioni». Perché a quel punto non è detto che il Patto sia ancora quello che abbiamo sin qui conosciuto.