La Commissione europea il 2 marzo ha pubblicato delle Raccomandazioni agli Stati membri dell’Unione per rendere i rimpatri di immigrati senza permesso di soggiorno più efficaci. Il primo bersaglio sono i richiedenti asilo diventati «irregolari» quando non gli viene riconosciuta la protezione. Seguendo le indicazioni date dal Consiglio europeo di Malta, la Commissione propone un insieme di misure estremamente restrittive, un colossale giro di vite che già ha ricevuto in questi giorni la protesta di decine di organizzazioni della società civile. Le Raccomandazioni fanno riferimento alla Direttiva Ritorno del 2008 cercando di limitare al minimo i diritti previsti in questa normativa.

Comparando il linguaggio usato nella Direttiva e nel documento attuale della Commissione salta all’occhio che oggi ci troviamo in uno scenario assai diverso da quello del 2008. Se allora si voleva dare precedenza al ritorno volontario assistito e applicare il rimpatrio forzato solo come ultimo rimedio, oggi la partenza volontaria slitta all’ultimo posto, dovrebbe essere concessa solo su base di esplicita richiesta dell’immigrato, deve essere attuata nel più breve tempo possibile, di regola entro 7 giorni e viene in ogni modo esclusa quando la polizia ritiene che ci sia un «rischio di fuga». Per il presunto rischio è sufficiente che la persona nel passato abbia fatto un viaggio non autorizzato in un altro stato membro o non abbia collaborato per la propria identificazione.

Se allora la detenzione amministrativa era limitata ai casi in cui nessuna misura meno coercitiva era disponibile, ora la detenzione viene considerata «elemento essenziale» per far funzionare il sistema del ritorno, un invito esplicito agli stati membri di procedere di regola con l’arresto e trattenimento, nello stesso momento della notifica dell’ordine d’espulsione. Inoltre, l’espulsione dovrebbe essere decretato «sistematicamente», insieme con la decisione del rigetto della richiesta d’asilo o del rifiuto di rilasciare o rinnovare un permesso di soggiorno, praticamente in un atto unico.

Qualora durante la procedura un eventuale impedimento alla deportazione, per esempio a causa del divieto del «refoulement», del rischio concreto che l’immigrato potrebbe subire un danno grave dopo il ritorno nel suo paese, era già stato valutato, non c’è necessità, così dice la Commissione, di verificare tale circostanze di nuovo. Un eventuale attestato medico che motivi di salute impediscono il viaggio di ritorno è sottoposto al sospetto di certificazione falsa o strumentale, inoltre, la detenzione amministrativa dovrebbe inizialmente durare 6 mesi, per poi, in certi casi, essere prolungata fino a 18.

Di questo giro di vite non si salvano neanche i minori non accompagnati. Peccato che la Convenzione sul Diritto del Fanciullo, ratificata da tutti gli stati membri dell’Unione, stabilisce che ogni atto nei confronti di un minore deve essere governato dal miglior interesse del bambino. La Commissione stabilisce che anche il ritorno forzato e perfino la detenzione possono essere nel miglior interesse del minore. Perciò, la Commissione si dimostra in disaccordo col fatto che alcuni stati membri, tra cui l’Italia, vietano la detenzione di minori non accompagnati. Quando si tratta di rendere una deportazione del minore efficace, anche la reclusione del bambino può andare bene.

Fino a qualche tempo fa eravamo abituati a vedere la Commissione europea, nonostante tutte le critiche al suo operato, come istanza di salvaguardia dei diritti fondamentali della persona, istanza correttiva nei confronti dei Governi dei singoli stati e del Consiglio. Oggi dobbiamo constatare che la Commissione fa il possibile per apparire più restrittiva dei Governi, perfino istigando loro di abbassare le garanzie e i diritti, criticando apertamente alcuni stati membri per essere troppo aperti e liberali. In quanto all’”efficacia” del ritorno dei richiedenti asilo e immigrati, la Commissione non può non sapere che tutti gli studi indicano che un prolungamento della detenzione incide quasi per niente sul numero di rimpatri effettivi e quindi rappresenta una punizione non lecita secondo la Carta dei Diritti Fondamentali.

Si può dubitare fortemente che queste misure siano un «segnale forte contro i rischiosi viaggio irregolari verso l’Unione europea»come ha affermato Dimitri Avramopoulos, Commissario per Migrazioni e Affari Interni, in occasione della presentazione del documento. Per dare veramente un segnale, bisogna aprire canali legali e protetti per il viaggio di rifugiati e migranti, ma di una tale politica non c’è traccia nei documenti della Commissione, tranne, forse, quella di stabilire una quota per lavoratori altamente qualificati.

In un momento dove la Germania e l’Italia stringono i contatti con Egitto, Giordania, Libia, Nigeria, Tunisia, per «arginare il flusso» in cambio di cash, in un momento dove il governo italiano emana un decreto restringendo le garanzie per richiedenti asilo e aumentando le capacità fisiche per detenere immigrati e potenziali rifugiati, le Raccomandazioni della Commissione sono un netto incentivo europeo per andare avanti su questa strada togliendo potenzialmente argomenti al Parlamento per rifiutare il suo consenso.

*Membro del Consiglio Direttivo del Cir