Eurolandia, così non va
Washington Nella relazione del Fondo monetario dati molto negativi sulla crescita del vecchio continente. Molte le critiche mosse verso la cosiddetta «austerità espansiva»
Washington Nella relazione del Fondo monetario dati molto negativi sulla crescita del vecchio continente. Molte le critiche mosse verso la cosiddetta «austerità espansiva»
Il rapporto del Fondo monetario internazionale sullo stato dell’economia del pianeta getta una pietra tombale sulla cosiddetta «austerità espansiva» tanto cara ai decisori della Ue: dopo lunghi anni di recessione, le stime di crescita per Eurolandia – 1,2% quest’anno, 1,5% nel 2015 – sono al di sotto di quelle dell’economia Usa, e in assoluto restano (molto) insufficienti per assicurare un aumento dell’occupazione. Quella buona, s’intende, visto che per quella precaria è sempre estate, quali che siano i tassi ufficiali di crescita.
C’è di più: i ricercatori di Washington avvertono che, senza misure espansive da parte della Banca centrale europea, le economie del vecchio continente resteranno a rischio di deflazione: «Nell’area euro – si sottolinea nel ’World economic outlook’ – per sostenere l’attività economica e aiutare a centrare gli obiettivi di stabilità dei prezzi della Bce, è necessario un maggior accomodamento monetario, anche con misure non convenzionali, riducendo in questo modo i rischi di inflazione ancora più bassa o di deflazione». Piaga quest’ultima che il Fondo monetario quantifica con il 20% di possibilità di realizzarsi. In lievissimo calo, ma sempre con percentuale di tutto rispetto.
Viste le polemiche tra Fmi e Bce quanto a strategie d’azione per fronteggiare la crisi, c’è da scommettere che a Bruxelles il rapporto del Fondo farà arrabbiare più di un tecnocrate, specialmente di area nordica. Ma i numeri sono quelli. Impietosi per l’Ue anche rispetto a una crescita globale che lo scorso anno è stata del 3%, e che fra il 2014 e il 2015 dovrebbe salire al 3,6% e poi al 3,9%. Al contrario, nelle economie dell’area euro appena uscite dalla recessione «la crescita dovrebbe rimanere debole e fragile, per l’elevato debito e la frammentazione finanziaria che limitano la domanda interna».
Anche quest’ultimo passaggio farà fischiare le orecchie a molti, sull’asse che da Amsterdam passa da Berlino e arriva a Helsinki. A ribadirlo in conferenza stampa è Olivier Blanchard, capo economista del Fmi, che evidenzia come il quadro finanziario Ue manchi ancora della riforma dell’unione bancaria. «Le banche stanno gradualmente diventando più forti – sottolinea Blanchard – ma la riforma finanziaria è incompleta e il sistema resta a rischio». Se invece si ripianassero i bilanci delle banche «in un contesto di analisi sulla qualità degli attivi», con una ricapitalizzazione di quelle più deboli «per ripristinare la fiducia e rivitalizzare il credito», secondo il Fondo monetario i risultati sarebbero sorprendenti: «Ulteriori azioni per far ripartire il credito in Francia, Irlanda, Italia e Spagna potrebbero far aumentare il pil del 2% o oltre. L’offerta di credito ai livelli pre-crisi porterebbe a un aumento del pil, rispetto al primo trimestre del 2008, del 2,2% in Francia, 2,5% in Irlanda, 3,9% in Italia e 4,7% in Spagna». Proprio quelle economie «sotto stress», come le definisce Christine Lagarde, più a rischio senza una reale politica comune europea.
Nel contesto continentale, l’Italia dovrebbe segnare una crescita dello 0,6% quest’anno, e dell’1,1% nel 2015. «Peggio della Grecia», ululano i talebani della comunicazione a senso unico, dimentichi del 25% di disoccupazione ad Atene. E subito smentiti dal Nomisma, che con il capo economista Sergio De Nardis segnala: «Il confronto con la Grecia è improponibile. Questo paese viene da un periodo terribile, incomparabile con quello pur molto negativo dell’Italia». Poi De Nardis segnala il vero problema: «Le stime del Fondo per l’Italia replicano sostanzialmente quelle di febbraio della commissione europea: una ripresa lenta e insufficiente a migliorare in modo apprezzabile il mercato del lavoro». Mercato che peraltro vede i tassi di disoccupazione italiani (12,2% nel 2013, 12,4% quest’anno, 11,9% nel 2015) quasi in linea con quelli dell’area euro (12,1% nel 2013, 11,9% quest’anno e 11,6% nel 2015). La testimonianza di un fallimento, comunitario, di fronte al quale i principali governi dell’Ue – in prima fila l’Italia di Matteo Renzi – hanno già pronta la nuova ricetta della «precarietà espansiva», senza regole né tutele per i lavoratori.
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