Chiamatela BJ, please. Perché la Boris Football Association esiste e pesa anche più della mitica FA, la federazione calcistica d’Inghilterra. È il ruggito di Boris Johnson quello che ha sistemato le cose, ha congelato tutto, garantendo che l’11 luglio 2021 si giocherà a Londra la finale di quello che si ostinano a chiamare Euro2020. Non importa se la variante delta continua a seminare pazienti, anche se il premier britannico ribadisce che è vero, il Covid in Gran Bretagna ha ripreso a diffondersi, ma al contagio non corrisponde un’impennata dei ricoveri e dei decessi. E, almeno su questo, Johnson dimostra maggior fedeltà alla cronaca di quanta non ne mostrasse nella sua precedente carriera giornalistica. Così la finale si farà a Londra, a Wembley, il prossimo 11 luglio. Il dispaccio dice che finirà così, alla faccia delle perplessità del premier italiano Mario Draghi o della tedesca Angela Merkel.

Però, oltre all’azzardo di voler raccontare come finirà questa storia, è forse più interessante capire come si è arrivati a queste decisioni. L’impresa non è facile, ma muoversi sulla scacchiera del calcio mondiale è un esercizio stimolante. Ci si muove, avanti e indietro, nella geopolitica del pallone, che è lo sport più seguito al mondo e anche un’industria che fattura, regala emozioni, distribuisce stipendi. E ha, ovviamente, i suoi grandi lobbisti: nei Paesi latini la definizione ha una connotazione negativa, in quello anglosassone no, i «gruppi di pressione» sono regolamentati e hanno pure un loro fascino. E i lobbisti del pallone hanno deciso che l’asse Boris Johnson-UEFA è quello che governava, governa e governerà almeno per i prossimi dieci anni il pallone mondiale. Per capire meglio il motivo bisogna fare un passo indietro, alla fine di aprile. Quando salta il progetto di alcuni grandi club europei (tra questi la Juventus) per far nascere una Superlega. Un campionato di stelle che avrebbe, in qualche modo, ridimensionato l’Uefa e quelli che sono i suoi tornei per squadra di club: Champions ed Europa League. Sembra tutto fatto, poi arriva il blitz di Aleksander Ceferin, 53 anni, avvocato sloveno, presidente dell’Uefa dal 14 settembre 2016.

È lui che smonta la Superlega e nel giorno della grande offensiva al suo fianco c’è chi scorge i volti di Gianni Infantino e Thomas Bach. Sono rispettivamente il presidente della Fifa e del Cio, il comitato olimpico internazionale. Sono, senza altri giri di parole, i più grandi lobbisti al mondo in materia di sport. È con loro che Ceferin ha smontato tutto, ammazzato il blitz della Superlega. Come? Intervenendo non sui presidenti dei club e neppure su quelli delle federazioni calcistiche nazionali. Ma parlando direttamente con i primi ministri dei principali Paesi europei. È come se per farsi condonare una multa si saltasse il capo dei vigili e ci si rivolgesse direttamente al sindaco. Il paragone è grezzo, la pratica più che disdicevole, ma il senso è questo. Ne hanno parlato con Merkel e Macron, ma Germania in Francia in questa partita non avevano un gran peso. Poi ne hanno parlato con Johnson, lui ha fatto sentire il suo ruggito ai sei club inglesi tra i fondatori della Superlega, loro hanno ubbidito. E senza gli «azionisti di maggioranza» le società italiane e spagnole hanno dovuto arrendersi. Chiaro? Ha vinto Boris ed è anche per questo che la finale non si sposterà da Londra. Non c’è variante che tenga. Ed è per questo che i Mondiali del 2030 si giocheranno in Inghilterra. È meno che una certezza, decisamente molto di più che una probabilità. La Gran Bretagna della Brexit gioca in Europa. Ed è la locomotiva del calcio mondiale. In fondo lo hanno sempre detto: il pallone lo hanno portato loro, bisogna adeguarsi.