Dopo un minuto di silenzio per l’ultimo attacco terrorista, a Tunisi, la Grecia «pericolosa» (la definizione è di Martin Schulz) è stata al centro delle preoccupazioni, pur non essendo nell’agenda ufficiale del Consiglio europeo di ieri e oggi a Bruxelles, con in programma le questioni economiche (Fiscal Compact e riforme strutturali), l’energia e, per la politica estera, l’Ucraina, la Libia e il terrorismo.

L’idea di un mini-summit ai margini del vertice – una «flash-mob» per Schulz – che obtorto collo Mario Draghi, Jean-Claude Juncker e Jeroen Dijsselbloem hanno accettato ieri sera, con la presenza di Angela Merkel e François Hollande, su richiesta di Alexis Tsipras, ha irritato i partner, che hanno chiesto senza esito di poter partecipare anch’essi, vista l’importanza del caso greco.

Con la domanda di uno spazio specifico dedicato ad Atene, Tsipras ha voluto politicizzare il dossier greco, che è bloccato in uno stallo a rischio. «La Ue ha bisogno di un’iniziativa politica – ha spiegato Tsipras – che nel rispetto sia della democrazia che dei trattati consenta di lasciarci la crisi dietro le spalle e di muoverci verso una maggiore crescita».

È più o meno la stessa cosa che ha detto la vigilia il primo ministro francese, Manuel Valls, convocato a Bruxelles dalla Commissione per spiegarsi rispetto al non rispetto da parte di Parigi del parametro del 3%.
La Francia ha comunque ottenuto due anni di tempo in più per rientrare nei parametri, ma per la Grecia c’è un trattamento speciale: «è assolutamente chiaro che nessuno può attendersi una soluzione né stasera né lunedì» a Berlino (nel previsto incontro con Tsipras), ha sottolineato Merkel, secondo la quale un accordo si farà «solo se si trova un’intesa e tutti si attengono ad essa».

Cioè, non verrà versata in anticipo parte dell’ultima tranche (7,2 miliardi) del secondo piano di aiuti, sulla carta prolungato di 4 mesi il 20 febbraio scorso, prima che Atene mostri di aver intrapreso le riforme del Memorandum.

Il presidente dell’europarlamento ha giudicato la Grecia «pericolosa» (e sprezzante ha chiesto a Tsipras se aveva «dimenticato la cravatta»): per Martin Schulz, «sarebbe bene che la Grecia mantenesse gli impegni presi, un nuovo aiuto finanziario arriverà dopo». Ma il tempo stringe.

Lo stesso Schulz ha dato credito all’ipotesi che Atene sia quasi a secco e che abbia difficoltà a far fronte ai nuovi, imminenti, rimborsi: «nel breve termine, 2-3 miliardi di euro sono necessari per rispettare gli impegni esistenti» (oggi scadono altri 2 miliardi da restituire dopo l’1,2 già versati e altri seguiranno a ruota per raggiungere la quota di 6 miliardi dovuti in questo mese di marzo, una buona parte all’Fmi).

Il governo greco sta grattando il fondo del barile in casa (dai fondi pensione alla previdenza sociale), ma non ce la farà se la Bce non versa almeno i 1,9 miliardi di interessi maturati (ha anche in cassa circa 11 miliardi del Fondo ellenico di stabilità).

Ma Draghi fa concessioni con il contagocce, per tenere il governo di Syriza sulla corda: ha aumentato l’Ela (liquidità di emergenza, l’unico rubinetto che resta aperto tra Francoforte e il sistema bancario greco, dopo aver chiuso la possibilità di dare in garanzia le obbligazioni, junk per le agenzie di rating, come «collaterale») di altri 400 milioni, al di sotto della richiesta di Atene.

La Grecia è sull’orlo di un panico bancario e il presidente dell’Eurogruppo, Dijsselbloem, gioca col fuoco, evocando uno «scenario cipriota», con il blocco dei movimenti di capitali (una misura considerata il prologo per un Grexit).

Juncker ha cercato di mediare, ricordando che «la Grecia negli ultimi tre anni ha intrapreso molte riforme, fatto molte economie nel budget, realizzato un avanzo primario. Non è vero dire che la Grecia non abbia fatto sforzi, non sarebbe corretto dire che i greci sono un popolo di fannulloni». Ma anche Juncker insiste: bisogna rispettare gli impegni ed evoca quelli del 2012 (cioè il Memorandum), oltre ai più recenti. Non è solo la Grecia a ricevere bacchettate.

La Bce ha richiamato all’ordine Italia, Francia, Belgio e Finlandia sul rispetto del Fiscal Compact, per Draghi «la gravità degli squilibri sta aumentando in vari paesi».
La Ue sembra un bateau ivre in questo periodo, incapace di prendere decisioni: anche per il piano Juncker, il progetto si concentra ora, a pochi mesi dalle decisioni definitive su dove intervenire con la «leva» che dovrebbe coinvolgere 315 miliardi, sulla «depoliticizzazione» della scelta della selezione dei progetti.

Terreno minato anche in politica estera. A cena c’era l’Ucraina nel menu.
Il draft del comunicato finale non prevede nuove sanzioni alla Russia, ma la riconferma automatica di quelle in atto che scadono a giugno, se non ci saranno passi avanti entro quella data.
La Lettonia, che ha la presidenza semestrale del Consiglio, ha inserito nelle conclusioni la richiesta a Mrs.Pesc, Federica Mogherini, di mettere in atto un «piano di azione» della Ue contro la propaganda russa, perché «stiamo perdendo la battaglia» della comunicazione con Mosca.

Sulla Libia, il presidente del Consiglio Ue, Donald Tusc, spinge da giorni per un nuovo intervento militare.