Ha senso oggi proporre una nuova raccolta antologica di Etty Hillesum dopo che sono stati pubblicati integralmente (anche in traduzione italiana) i suoi diari e le lettere che ci sono giunte? Dopo che tanti si sono cimentati con la figura della giovane ebrea olandese (1914-1943), conquistati dalla sua voce inedita e potente, solo esteriormente spenta nell’inferno della Shoah?

HA SENSO se il testo nasce da una lunga maturazione e sa offrire un ulteriore approfondimento rispetto alla precedente bibliografia. È il caso de Il gelsomino e la pozzanghera. Testi dal Diario e dalle Lettere (edizioni Le lettere, pp. 172, euro 14), a cura di Beatrice Iacopini – già coautrice con Sabina Moser di un denso studio, Uno sguardo nuovo. Il problema del male in Etty Hillesum e Simone Weil, San Paolo 2009 -, un’antologia che si offre come una sorta di mappa orientatrice tra le migliaia di pagine di Hillesum e una efficace guida alla comprensione del suo percorso di crescita umana e spirituale.

LA STRAORDINARIA VICENDA della giovane aspirante scrittrice che, nei terribili frangenti dell’occupazione nazista della sua terra, riesce a sviluppare una luminosa umanità, nel segno di un centro unificatore che giunge a chiamare «Dio», è vicenda squisitamente religiosa, sia pure di una religiosità avulsa da ogni dogmatismo o appartenenza ecclesiale.

Iacopini mette in risalto la dimensione mistica di questa religiosità proponendo, dopo un intenso saggio iniziale, una scelta di testi, in nuova traduzione dall’originale olandese, di cui valorizza il ripetersi di concetti e parole chiave che rimandano implicitamente o esplicitamente a quella sapienza. Per limitarsi a pochi esempi significativi: espressioni come «piccolo io», «spazio interiore», «quiete», «abbandono fiducioso», mutuate dall’amato poeta Rainer M. Rilke, trasmessele da quel singolare «direttore spirituale» che fu lo junghiano Julius Spier, scoperte nell’ultimo tempo della sua vita nelle pagine del renano Meister Eckhart.

DI QUESTO LESSICO mistico la curatrice propone anche un opportuno, puntuale glossario che permette al lettore di accostarvisi con cognizione e di condividere significative scoperte: per esempio, a proposito dell’ultima espressione «abbandono fiducioso», concetto centrale della filosofia tedesca, come l’olandese gelatenheid di Hillesum corrisponda letteralmente all’eckhartiano Gelassenheit.
Sulla scia della grande tradizione spirituale, il percorso di resistenza e di liberazione della giovane olandese si presenta come un cammino di distacco dai limiti di uno sguardo autocentrato, di abbandono delle «rappresentazioni convenzionali della vita», per aprirsi a un «grande salto, l’abbandono del soggetto nel cosmo», a una dimensione di amore e di «compassione» universale.
Come ha notato Tzvetan Todorov, Etty Hillesum «si allontana progressivamente dalla tradizione del pensiero occidentale», del predominio del soggetto, «che rappresenta gli altri come gli strumenti eventuali delle ricerche condotte dall’io» (Resistenti. Storie di donne e uomini che hanno lottato per la giustizia, Garzanti, 2016).

DI FRONTE ALL’INDICIBILITÀ di quanto stava accadendo, lei rifiuta di aderire personalmente alla opposizione politica al nazismo, interpretata come altra forma di prevalenza dell’io, potremmo dire con Todorov: avverte, invece, che il suo compito è di salvaguardare un nucleo di vita e di amore dal quale si possa ricominciare «di sana pianta» nell’Europa del dopoguerra.
Per usare la bella pagina da cui il libro trae il titolo, riesce a salvaguardare «il gelsomino», simbolo della bellezza della vita, impedendo che sia annegato nelle «pozzanghere» dell’odio suscitate dalla guerra e dall’occupazione. Non trattenendo niente per sé, ma spendendosi, «balsamo per molte ferite», fino alla morte consapevolmente condivisa con il suo popolo nell’orrore di Auschwitz.