Ettore Vitale, l’impronta del grafico
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Ettore Vitale, l’impronta del grafico

Il libro «Ettore Vitale, Segno memoria e futuro», edito da Aiap Edizioni, con contributi vari, è il lascito di un professionista che ha arricchito la nostra «visuale» della vita
Pubblicato più di 2 anni faEdizione del 7 maggio 2022

Se non sapete cosa sia il mestiere del grafico questo libro è per voi. Il percorso progettuale di Ettore Vitale, attivo nel visual design dagli anni Sessanta fino a oggi, è la dimostrazione di come sia possibile intervenire nella comunicazione di aziende, partiti e associazioni, rendendo chiaro e immediato ogni concetto. Ettore Vitale, Segno memoria e futuro, edito da Aiap Edizioni, 440 pagine, 58 euro, è il lascito di un professionista che ha arricchito la nostra visuale della vita.

Autovox, 1971

Vari i contributi di nomi noti che hanno partecipato a quest’opera: da Carlo Martino, professore di Design della Facoltà della Sapienza di Roma a Marco Tortioli Ricci, presidente dell’Aiap, Associazione italiana design della comunicazione visiva. Scrivono anche Luciano Galimberti, presidente Adi, Associazione per il disegno industriale e da New York Steven Heller, autore e coautore di circa 180 libri tra grafica e illustrazione. Chiudono la parte testuale Mario Piazza, grafico e docente del Politecnico di Milano e Sara Palumbo, graphic designer. Molto interessante è anche la conversazione, che fa da spartiacque tra la parte italiana e la traduzione in inglese, tra Vitale, Giovanni Anceschi e Alexia Rizzi in cui il percorso lavorativo di Vitale viene analizzato e discusso ma l’approfondimento si allarga all’analisi della società, al ruolo del grafico, all’uso dei computer entrati di prepotenza negli studi grafici cambiando anche il modo di pensare, al segno e al suo significato.

L’introduzione di Carlo Martino spiega come Vitale, sin dall’inizio della sua carriera, sia stato un problem solver. Non quindi il grafico dedito solo all’estetica ma il professionista che analizza il problema e che in modo razionale e sistematico, lo risolve.

Figura poliedrica, vincitore di ben tre compassi d’oro e dotato di una mano eccellente che ricorda lo stile di Milton Glaser, Vitale è stato il protagonista della comunicazione del Partito socialista italiano a partire dai primi anni Settanta. Insieme a Michele Spera per il Partito repubblicano e a Bruno Magno per il Partito comunista, ha svecchiato l’immagine della politica italiana. I primi due manifesti che crea per il Partito socialista sono una rivoluzione nel campo del manifesto politico italiano. Quello relativo al 25 aprile mostra un campo rosso con in basso un foglio nero strappato al centro, quello del primo maggio ha un fondo bianco e un’enorme pugno chiuso che stringe un garofano rosso. In aggiunta solo il simbolo del Partito socialista: non c’è testo, non c’è slogan, le immagini vanno dirette all’osservatore, non c’è possibilità di fraintendimento.

Parto da questi due esempi perché da quel momento la carriera di Vitale si sviluppa anche in campo politico. Seguiranno, sempre per i socialisti, moltissimi lavori fino a far sì che grafica e Partito siano un tutt’uno. Al Psi si aggiunge la Uil, il sindacato dei cittadini. Anche in questo caso la rivoluzione che innesta è proficua. I lavori che produce sono chiari, immediati, riconoscibili. Forme geometriche, linee oblique, l’uso del carattere Helvetica maiuscolo, creano un mondo di immagini che tra loro si parlano. Il sindacato diventa colorato, vicino alla gente, un luogo di incontro aperto a tutti.

Ma il filo si dipana ancora e questa volta Vitale approda alla televisione. Per Raidue, negli anni Ottanta progetta più di cento sigle televisive che comprendono programmi musicali e rassegne cinematografiche. Queste sigle spesso sono un montaggio di testi, fotografie e illustrazioni dello stesso Vitale che a questo punto diventa committente di sé stesso dal punto di vista iconografico.

Grafico, illustratore e regista quindi, Vitale nei primi anni Novanta affronta una sfida molto difficile, creare e coordinare l’immagine di Raidue, far diventare un brand un’intera rete. Vitale cerca un segno che sia rappresentativo e riconoscibile. Lo sfondo è costituito da fasce di diverse tonalità di grigio, più raramente colorate, una texture in movimento, a cui si aggiunge il «famoso» cubo rosso.

Il percorso lavorativo di Vitale però non è legato solo al Partito socialista e alle sue declinazioni, la sua carriera è molto più vasta e le opere finora prodotte sono tantissime. La sua attività parte negli anni Sessanta ed è prevalentemente dedicata alla grafica pubblicitaria. Tra i suoi clienti più importanti troviamo Autovox e Arflex per cui, a parte gli stampati, allestisce vetrine e ambienti espositivi che gli danno modo di sperimentare le tre dimensioni. Nel 1975 e fino al 1980 collabora con il manifesto di cui progetta e cura le testate Muzak con la direzione di Giaime Pintor e Pace e guerra, mensile diretto da Luciana Castellina, Claudio Napoleoni e Stefano Rodotà. Nelle copertine di quest’ultima, rigorosamente in nero e rosso, il segno quasi materico di Vitale è l’icona protagonista, quasi una pre-scrittura.

Un altro campo in cui Vitale riesce a dare un contributo importante è la rappresentazione della musica. I suoi manifesti per l’Accademia Nazionale di Santa Cecilia di Roma sono una pietra miliare nella grafica italiana. La sua preoccupazione è rendere visibile il suono e riesce a risolvere il problema facendo vibrare lo spazio. Nel 2001 vince il concorso per il marchio e l’immagine coordinata dell’Auditorium di Roma progettato da Renzo Piano. Anche in questo caso la ricerca è fondata sulla vibrazione del suono. Le tre linee curve convesse orizzontali, oltre a ripercorrere la forma architettonia delle tre sale dell’Auditorium sono pensate anche come onde sonore mentre la quarta linea in basso, concava, rimanda al parco in cui la struttura è situata.

È del 2004 invece il segno-marchio che Vitale progetta per l’Accademia di Belle Arti Pietro Vannucci. Questa volta è il gesto manuale del grafico a concepire la figura. Un segno creato in modo veloce con un pennarello a punta larga scarico per poter dare zone di pieni e vuoti, un segno che ricorda lo shodo giapponese e che, come una sintesi estrema, racchiude la sua intera carriera.

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