Sei del mattino. Accendo la televisione. Alle prime immagini scoppio in lacrime. Ettore Scola, il grande, l’immenso regista italiano del quale ho avuto la gioia di essere amico è morto. Il suo cinema è indimenticabile. Capolavori come C’eravamo tanto amati e Una giornata particolare hanno nutrito il pensiero critico. Negli anni hanno eroso le certezze della società italiana. Sono stati una zattera di sopravvivenza politica. Ettore era membro del Partito Comunista italiano.

 

 

Ci siamo incontrati per la prima volta a Parigi, nel 1981, all’ospedale Saint-Antoine dove era stato ricoverato per un problema cardiaco. All’epoca ero ministro della sanità, ero andato a trovarlo; da allora non abbiamo mai smesso di vederci. Quando è uscito dall’ospedale ci siamo ritrovati a mezzogiorno per una salutare passeggiata nei Giardini di Lussemburgo.
Una volta guarito, Ettore è tornato a Roma per girare a Cinecittà Ballando Ballando. Mi ha invitato sul set e insieme abbiamo partecipato a un programma della televisione francese senza il conduttore, che era Yves Mourosi e aveva perso l’aereo da Parigi.

 

 

Ci siamo rivisti al Festival di Cannes, a Strasburgo, in Grecia. Era un amico degli Stati Generali della Cultura e ha combattuto molto per l’eccezione culturale e la pluralità del cinema europeo. È stato lui a far firmare la Dichiarazione dei Diritti della Cultura (tradotta in 14 lingue) da molti cineasti e artisti italiani come Fellini, Rosi, Marcello Mastroianni.

 

 

Ricordo una trasmissione alla radio di Jean-Claude Braly su uno dei suoi film. Nel corso del programma sono arrivati due ospiti a sorpresa, Mastroianni e Ugo Tognazzi, trasformandola in una scampagnata di risate. Alla fine Scola mi dice del suo dispiacere. Era stato invitato per il dessert a un pranzo di intellettuali francesi e stranieri organizzato da François Mitterand e detestava l’idea di abbandonare i suoi amici. «Andiamoci tutti e quattro» gli ho detto. Così siamo arrivati al Train Bleu, alla Gare de Lyon, dove il Presidente ci ha accolti molto amichevolmente. Era un piacere per lui conversare con i tre artisti italiani e con uno dei suoi quattro moschettieri comunisti, come mi chiamava.

 

 

Ricordo spesso una telefonata di Ettore:«Jack, vengo domani a Parigi a trovarti». Ci siamo dati appuntamento al suo albergo, vicino al Senato. Lui è andato subito al punto: «Jack sto per iniziare un nuovo film, Maccheroni, insieme a Marcello. Vorrei che tu interpretassi il secondo personaggio». Abbiamo discusso per tre ore: lui insisteva, io non osavo e non ho cambiato idea. Lui era molto dispiaciuto. Dopo ho visto che mi ha sostituito con uno molto più bravo di me, Jack Lemmon.

 

 

Ci vedevamo sempre quando veniva a Parigi invitato dall’allora sindaco, Bertrand Delanoë, di recente per l’inaugurazione del cinema Le Louxour a Barbés. Mi ha detto:«Allora come stai? Sai che ti ho sempre considerato come un vero attore?». Il film che presentava, e che è diventato il suo ultimo film, era su Fellini.

 

 

L’ultima volta che ci siamo incontrati è stato a Roma, a casa di Luciana Castellina, un’altra grande militante comunista italiana del primo gruppo de «Il manifesto», con la quale ho lavorato a lungo ai Rencontres Cinématographiques de Beaune dove ci siamo distinti tutti e due. È insieme a lei che abbiamo vittoriosamente lottato contro l’Ami (Accordo multilaterale sugli investimenti) che ora si sta ripresentando nel dibattito internazionale.

 

 

Luciana aveva organizzato un piccolo pranzo con Ettore. Nel pomeriggio io e lui abbiamo assistito alla consegna della Legione d’onore da François Mitterand, ministro della cultura in Francia, a Luciana.

 

 

 

La cena è stata un ritrovarsi tra amici pieno di allegria e di calore. Oggi penso molto a lui, ho talmente amato quest’uomo e il suo cinema, una vera opera di «democrazia insorgente» direbbe Miguel Abensour.

 

 

* Ex ministro della sanità (1981), sindaco onorario di Aubervilliers, animatore-fondatore degli Stati Generali della Cultura