Vittima illustre della crisi del welfare e di un ritiro istituzionale avvenuto in nome della fiducia incondizionata nei meccanismi autoregolativi del mercato, l’esperienza dell’edilizia pubblica in Italia continua a configurare, con la materialità delle sue costruzioni e la persistenza del suo ruolo sociale, la possibilità di una città inclusiva, solidale e sostenibile. L’imprevedibile combinazione tra crisi economica ed emergenza sanitaria, anzi, pone in modo ancor più stringente la necessità di ripensarne il rilancio e di respingere con forza la prospettiva della completa liquidazione di un patrimonio immobiliare in via di costante depauperamento.

UN’INDICAZIONE rafforzata dalla lettura del volume dedicato all’Acer di Ferrara, ex Iacp fondato nel 1920 e che pertanto ha da poco varcato la fatidica soglia dei cento anni di età. La ricorrenza ha sollecitato lo svolgimento di una ricerca sulla storia e l’attività dell’ente, affidata alla curatela di tre specialisti, Elena Dorato, Romeo Farinella e Michele Nani, due architetti/urbanisti e uno storico (Acer Ferrara 100. Per una storia della casa pubblica a Ferrara e Provincia. Studi e Documenti Iacp 1020 / Acer 2020, Altralinea, pp. 208, euro 24). Un volume di grande spessore e originalità che ambisce a collocarsi, riuscendovi, nel campo multidisciplinare degli studi urbani.

L’oggetto di ricerca viene così inquadrato sotto molteplici angolature che riflettono non solo la varietà degli sguardi disciplinari, ma anche l’articolazione degli attori, delle pratiche e delle culture – amministrative, progettuali, abitative – che ruotano attorno alla casa pubblica, offrendo al contempo metodologie e strumenti di valorizzazione di un’ampia gamma di fonti archivistiche, tra cui quelle conservate dagli ex Iacp. Grazie a questa impostazione, le sezioni del libro relative alle cartografie del patrimonio (Di Filippo e Nani), alle schede di regesto dei progetti (Dorato, HPO, Favaro), alle fotografie storiche e attuali (Caselli Nirmal) assumono una non scontata centralità e instaurano un rapporto dialogico e non didascalico con i testi scritti.

In particolare, le schede di regesto, inerenti a 15 interventi edilizi Iacp/Acer selezionati dagli autori per il loro impatto sulla città e la provincia forniscono un notevole apporto conoscitivo sull’universo residenziale della casa pubblica, oltre a delineare, a giudizio di chi scrive, un modo virtuoso di fare storia urbana, basato sull’interrelazione tra lo studio delle politiche per la città, la storia sociale e delle architetture.

La questione delle abitazioni a Ferrara cominciò a emergere, come altrove in Italia, al tramonto dell’800, a farne da premessa il peggioramento delle condizioni abitative delle fasce più povere, come dimostrano i quadri analitici e statistici tracciati da Nani sull’affollamento degli alloggi e la distribuzione della popolazione nel territorio della città murata e dei sobborghi. Con la nascita degli Iacp anche il nostro Paese conobbe l’avvio di una politica pubblica per la casa.

LA STORIA AMMINISTRATIVA dell’ente ferrarese viene ricostruita, per mezzo dei verbali del Cda, nei contributi dello storico Davide Tabor, dagli esordi all’aziendalizzazione su basi regionali del 2001, con particolare attenzione alle relazioni tra centro e periferia puntellate da una mediazione istituzionale per lungo tempo improntata sul vecchio modello notabilare. La fase di maggior dinamismo fu stimolata dai grandi piani nazionali del secondo dopoguerra, dall’Ina casa alla stagione inaugurata dalla legge 167. All’ente ferrarese, tuttavia, va riconosciuta la capacità di aver mantenuto anche dopo, una volta chiusa la pagina delle politiche nazionali, un ruolo importante nell’edilizia cittadina, con l’esecuzione di interventi all’insegna della sperimentazione nel campo della riqualificazione edilizia e della rigenerazione urbana.

Anche di questo tratta l’ultima parte del libro, la più eterogenea, comprendente focus di analisi sulle politiche pubbliche per l’abitare e su alcune realizzazioni e figure di spicco nella progettazione della residenza pubblica e dei servizi di quartiere a Ferrara (gli architetti Alfredo Lambertucci, Vieri Quilici e Carlo Melograni). I caratteri sociodemografici dell’inquilinato Acer, infine, sono esaminati da Alfredo Alietti che, in collaborazione con Silvia Pellino, restituisce attraverso l’indagine qualitativa anche il punto di vista degli inquilini: mentalità, immaginari e aspettative propri di una specifica cultura dell’abitare, influenzata dai cambiamenti che investono i microcosmi dell’edilizia pubblica.

Il bilancio di questa secolare esperienza non può che dirsi in attivo; meno positivo lo diventa se si considera la bassa incidenza della produzione pubblica sul totale dello stock edilizio, anche nell’intera Penisola, se messa a confronto con quella di altri paesi europei.

SI TORNA COSÌ ALLE BATTUTE iniziali, ai motivi che, ora più che mai, dovrebbero ispirare il rilancio dell’abitare sociale, ben compendiati nello scritto di Farinella, per esempio là dove riporta della lettera apparsa su un quotidiano scritta da una signora bolognese durante il lockdown pandemico per ringraziare gli artefici del quartiere in cui abita, nato nell’ambito del piano Ina casa, dove, nei cortili e negli spazi comuni dei caseggiati, gli abitanti hanno potuto trovare, o riscoprire, una dimensione umana e collettiva dell’abitare. «Non un bosco residenziale e verticale, che nei modelli oggi proposti è spazio privato e auto-segregante, protetto da polizia privata – osserva l’autore – ma un piccolo cortile dove trova spazio la socialità anche in un quartiere che, seppur vecchio, è stato ben progettato, secondo il principio dell’unità di vicinato, con i servizi e le attrezzature per gli abitanti del quartiere e vicino un parco fluviale».