Quando, meno di una settimana fa, Estelle Conan ha raccontato la sua storia, mormorii di ammirazione e stupore si sono presto diffusi tra il pubblico e i delegati di Terra Madre riuniti nel grande incontro di Torino. La sua è un’esperienza di lotta andata a buon fine, l’emblema di come la forza e la determinazione femminile sappiano, in molti casi, raggiungere risultati che sembrano impensabili.

Estelle è un’attivista nata e cresciuta in Costa d’Avorio, patria di enormi monocolture di cacao, dove i contadini sono diventati braccianti al servizio delle multinazionali che fissano obiettivi, prezzi e salari senza possibilità di trattativa. In questo contesto, la lotta di Estelle Conan ha portato alla costituzione di un’associazione di produttori di piccola scala che hanno deciso di rifiutare le logiche predatorie ed estrattive delle grandi compagnie straniere per consorziarsi e pretendere prezzi più giusti e trattamenti adeguati. Da qui è partito il riscatto di intere comunità ed è stato messo in crisi, almeno a livello locale, un modello economico che impoverisce, genera diseguaglianze e si nutre di sopraffazione. Estelle è il simbolo di come le donne costituiscano la spina dorsale dell’agricoltura mondiale nonostante, secondo i dati della Fao, siano solo il 43 per cento della forza lavoro in agricoltura e troppo spesso siano relegate in ruoli subordinati a quelli maschili, senza potere decisionale e con salari e retribuzioni più bassi.

Una situazione che chiede a tutti una riflessione: la battaglia per un vero equilibrio di genere è purtroppo ancora tutta da combattere e tutta da vincere. E se questo è vero in moltissimi settori economici e sociali, lo è in maniera forse ancora più evidente in ambito agricolo. Perché nella produzione e trasformazione di cibo le donne giocano un ruolo di primo piano e lo fanno senza riconoscimenti, o aiuti. In un momento storico in cui i cambiamenti climatici, le migrazioni di massa e le dinamiche globali ci chiedono paradigmi e slanci nuovi, riconoscere e promuovere un reale accesso femminile alle risorse rappresenta il più potente strumento di emancipazione di tutti noi come collettività.

Alcuni dati però fanno ben sperare: oggi in Italia tra i giovani agricoltori le donne stanno crescono in numero e percentuale, sempre più sovente sono loro a essere proprietarie delle aziende agricole e a prendere le decisioni. Quanto ancora dovremo aspettare perché il ruolo fondamentale delle donne venga riconosciuto e rispettato in ogni ambito? Possiamo davvero parlare di civiltà prima che questo risultato venga raggiunto?