Là dove la Bresle si getta nella Manica, dividendo la Picardia dalla Normandia, c’è un porto e intorno ad esso una città di 5000 abitanti, al tempo stesso operaia e turistica, e che dal dopoguerra ha sempre eletto sindaci comunisti. Si chiama Tréport ed è qui che François Ozon ha deciso di adattare per il grande schermo il romanzo di Aidan Chambers Dance on my Grave (Danza sulla mia tomba, noto in Italia anche con il titolo Amici per sempre, edizioni EL). Il film – in programma in questi giorni alla Festa del cinema di Roma, e nelle sale italiane nel 2021 – invece ha il titolo ben più accogliente: Estate 85.

COSA È SUCCESSO, a Tréport, nell’estate del 1985 che Ozon vuole raccontarci? In realtà nulla, perché tutta la storia dell’incontro tra il bell’angioletto biondo Alex e il più scultoreo David, il loro amore appassionato, la loro rottura, e la morte di David, fino alla danza dell’altro sulla tomba dell’amante, tutto questo non è che immaginazione. Ma il film vuole raccontare un sentimento e un momento reali. Vuole fermare l’immagine ad un rivolo degli anni Ottanta, tra un prima e un dopo. Parentesi: il film doveva chiamarsi Estate 84 – proprio per situarsi al di qua di un guado; ma per Ozon era importante avere la canzone dei Cure In Between Days, che però è del 1985. Chiusa parentesi. Il film lavora così su due momenti di passaggio. In primo piano quello dell’adolescente Alex, che tra le braccia del suo amante scopre al tempo stesso la sessualità e l’amore. Intorno a loro, c’è un periodo che se ne va, come giorni d’estate; di lì a poco, saremmo entrati nell’epoca dell’Aids, che altri cineasti francesi hanno voluto affrontare direttamente, Christophe Honoré con il suo Plaire aimer et courir vite, Robin Campillo con 120 battiti al minuto. Ozon preferisce ballare sul bordo di quel periodo spensierato, anche se la danza è macabra.

Non si tratta affatto di un film nostalgico. Non manca tutta una galleria di elementi d’epoca, dal taglio dei capelli ai vestiti, e più in generale all’aspetto delle città. Inevitabilmente, il mare del nord, l’estate e le storie d’amore iscrivono il film in un caleidoscopio d’immagini del cinema d’autore francese, e di certi autori in particolare, come Eric Rohmer e Jacques Roziers. Ozon non schiva né cerca di reinventare il genere, che per forza di cose si accompagna a questa ambientazione nordica e marittima. Ma non si fa neppure inghiottire dal gorgo dei riferimenti.

LA FORZA del film è tutta nella voce del protagonista, Alex, che è anche il narratore della propria storia. Voce alla quale Ozon non sovrappone la propria maturità. È la voce di un adolescente. Di un giovane sognatore con un dono per la scrittura. Non ancora un intellettuale. Ma solo un talento in erba, a cui capita di dover scrivere la propria storia, inizialmente per necessità esterna alla propria volontà – perché il giudice gli intima di spiegarsi sui propri atti. In seguito per una sorta d’obbligo morale, verso sé stesso e verso il proprio amante scomparso. Infine semplicemente per capire, per passare, attraverso la riflessione, dall’azione all’esperienza. Il film di Ozon è fatto di questa materia, un po’ gassosa, pimpante e ingenua.

Ozon ha il coraggio di lasciare la riflessione di Alex così com’è, allo stato bruto, con le sue armi ancora spuntate della gioventù a confrontarsi con l’amore e con la morte. Viene allora in mente Pierre Rivière, il giovane proletario che prende carta e penna per spiegare il proprio crimine, e che tutti prendono per pazzo, senza poter spiegare la chiarezza della sua retorica. Alex non è un assassino. In fondo, non ha commesso alcun crimine. Ma è comunque sul banco degli imputati. Ufficialmente per aver profanato una tomba. In mancanza di meglio, è un’accusa formulabile per un crimine – l’omosessualità – ormai indicibile, perché ufficialmente non è più un crimine, né per la società, né per la legge (in Francia, proprio in quegli anni, la sinistra completa la vecchia legge del 1791 sulla depenalizzazione dell’omosessualità).

IL FILM inizia proprio su questa difficoltà ad esprimersi, a raccontare la propria storia. Né Alex né David sono mai maltrattati per il loro amore. Possono andare in discoteca e toccarsi. Andare in barca abbracciati. Ma se Ozon non racconta l’omofobia, d’altro lato fotografa un altro tipo di discriminazione: il fatto di non poter esistere per quello che si è. Tutti i personaggi adulti sono affetti da una sorta di strabismo che gli impedisce vedere Alex e David. Nessuno ammette la loro relazione. Né il padre di Alex, operaio all’antica, di poche parole. Né la madre di lui, folle piccolo borghese magistralmente interpretata da Valeria Bruni Tedeschi. Essa è invisibile persino per il giudice, che li crede rivali in amore. Il loro amore non è osteggiato, è semplicemente negato, come non avvenuto. Una discriminazione meno evidente ma altrettanto odiosa di quella che si esprime con la violenza, e che Ozon coglie con forza e grazia.