L’anniversario di Giorgio Strehler (100 anni dalla nascita) si piazza quest’anno secondo solo a quello dantesco, quanto a celebrazioni, seppur con meno sbavature e banalità. Tra i ricordi migliori fioriti in questi mesi, uno dei primi e più completi è sicuramente Essere Giorgio Strehler, un vero e proprio docufilm che è stato presentato alla festa del cinema di Roma (in onda domani sera alle 21,15 su Sky Arte, e in streaming su Now tv), e bisogna dire che la qualità è piuttosto superiore agli standard correnti. È lo stesso regista, scomparso a natale del 1997, a raccontarsi, attraverso interviste e materiali d’archivio, sul suo lavoro e su di sé (a produrlo, insieme alla 3D di Didi Gnocchi, ci sono il Piccolo teatro di Milano, il comune e il Museo Schmidl di Trieste, oltre naturalmente a Sky Arte).

È UN BEL RACCONTO, denso e centrato, che coglie il regista dalle origini familiari, austroungariche ed europee, lungo le ascendenze (a cominciare dalla madre violinista) e la formazione, fino alla passione per il teatro, che culmina nella geniale intuizione, condivisa con Paolo Grassi, di un teatro pubblico per la città di Milano, fin dai giorni immediatamente successivi alla liberazione dal fascismo. Con l’appoggio del sindaco Greppi, ma soprattutto con l’idea di un «nutrimento» culturale, attraverso il teatro, per la città che era rimasta sempre isolata dall’Europa durante il ventennio nero. La trasformazione del cinemino seminterrato in via Rovello (dove i partigiani poco prima venivano interrogati e torturati) nel primo teatro pubblico, ovvero di proprietà della città, divenne il modello per numerose realtà successive.
Senza retorica e senza risparmio di energie, arrivarono in scena con lui il teatro russo e una tradizione italiana (a cominciare da Goldoni) senza più cipria né retorica, fino al privilegio di portare sulle scene italiane (sentendosene quasi fiduciario esclusivo) il genio di Bertolt Brecht, il più grande autore europeo di quella metà di secolo, che venne perfino di persona al debutto italiano dell’Opera da tre soldi nel 1956, poco prima di morire.

E POI gli innumerevoli altri successi, tra classici e contemporanei, fino alla creazione a Parigi dell’Unione dei Teatri d’Europa, ma senza tralasciare la tradizione milanese che era ormai la sua seconda lingua, e le sue signore, che numerose si legarono a lui, quasi fino alla fine con la mediazione galeotta del palcoscenico, che gli faceva cantare Ma mi con Ornella Vanoni, frequentare i classici con Valentina Cortese, fino al matrimonio con Andrea Jonasson, Contessa sulla carretta dei comici contro i Giganti della montagna (unica assenza ingiustificata nel film da quella battaglia di dame, Milva, che fu invece la sua più superba voce brechtiana). D’altra parte era impossibile stipare tutto il vulcanico Strehler in un’ora e un quarto circa, ma il film è un solido stimolo ad approfondire il leggendario maestro. Vi partecipano numerosi esperti del suo lavoro e della sua vita, da Paolo Bosisio a Roberto Canziani, da Franca Squarciapino a Ezio Frigerio, la biografa Cristina Battocletti, attori e allievi. Essere Giorgio Strehler è stato scritto da Matteo Moneta e Gabriele Raimondi, firma la regia Simona Risi.