Gianluca Barbera, cinquantaquattrenne romanziere, ma anche editore, giornalista, filosofo dalla tondelliana Correggio alla remota campagna senese, all’ottavo libro, dopo cinque fiction e due biografie, nell’arco di un decennio, offre la sua prova narrativa più matura, equilibrata, convincente: Il viaggio dei viaggi (Solferino Editore, pp.272, euro 17) potrebbe definirsi racconto a cornice, come il Decamerone, perché è strutturato come una sequela di sogni a occhi aperti del protagonista, il professor Terranova, quando ammira estasiato le diverse sale di un ipotetico museo di viaggi, scoperte, esplorazioni.

OGNI SPAZIO è adibito a un’epoca storica, ma il percorso, oltre non essere lineare in senso cronologico, viene «occupato» da una giovane saccente Ciceronessa e da una tipica scolaresca italiana, da cui il docente sembra prendere le distanze, stufo ormai dei luoghi comuni di una generazione forse incapace, salvo rare eccezioni, di «immaginare» o appassionarsi alle vere novità (in questo caso il gusto di viaggiare con la propria mente).
Se dunque Terranova si estranea dai propri allievi, immergendosi nei panni dei viaggiatori, al punto da assumersi la responsabilità di cantarne le gesta, è anche perché la realtà circostante appare degna di essere svelata e dunque «affabulata» solo a partire dalla fantasia prodotta dagli stessi nove viaggiatori prescelti. E qui Barbera risulta abilissimo, documentandosi sui testi originali, a mescolare la storia con la finzione, la cronaca nella leggenda, il vissuto dentro l’immaginazione (e viceversa). Ne fuoriescono quindi ritratti inconsueti via via di Darwin, Bolzoni, Whalpole, Crusoe, Magellano, Re Ferdinando, Nobile, Neil Armstrong e Marco Polo; è un avanti-indietro tra era moderna ed età è contemporanea, in cui l’autore evoca, anche mediante la parafrasi stilistica, i diversi modi di concepire, affrontare, vedere il viaggio, nel pieno rispetto delle regole di un tempo e delle convenzioni letterarie che lo contrassegnano.

I VIAGGIATORI sono smitizzati attraverso la confutazione di molti particolari delle loro stesse imprese, mentre a essere esaltata è proprio l’idea di viaggio quale strumento cognitivo dell’esperienza umana: del resto, viene in mente l’ultimo dantesco viaggio dell’omerico Ulisse, il «foste non fatti per vivere come bruti, ma per seguire virtute e canoscenza».
Il viaggio dei viaggi diventa anche, indirettamente, un romanzo di formazione al quadrato, oscillando infatti tra le avventure spesso rocambolesche compiute dai nove protagonisti per diletto, curiosità, estroversione, desiderio, edonismo e l’accostarsi al viaggio da parte di Terranova (alter ego di Barbera) con un intuito pedagogizzante, emblematico poi dell’ultimo capitolo, dove il «prof» torna papà spiegando alla figlia tutto (o quasi) dei misteri di chi sta, nelle pagine dei libri, perpetuamente tra mari, cieli e terre. E le figure archetipiche qui descritte proiettano il lettore all’interno di quegli immaginari che lustrano gli anni «magici» dell’infanzia e quelli assai più complessi dell’adolescenza, con Salgari, London, Stevenson (e Poe, Borges, Calvino) quali riferimenti culturali.