Tempi e modi dell’annessione unilaterale a Israele di porzioni di Cisgiordania palestinese, erano ieri sera al centro dell’incontro tra Benyamin Netanyahu e il suo principale partner di governo e ministro della difesa Benny Gantz. Non che tra i due esistano differenze di rilievo su questo punto del programma di governo. Però Gantz pur essendo favorevole al progetto di annessione generato dal piano per il Medio oriente di Donald Trump, chiede  di tenere conto dei riflessi diplomatici di una veloce «estensione della sovranità israeliana» sulla Cisgiordania. Il premier da parte sua non rinuncia al contrario di ciò che suggerisce qualche giornale. L’annessione degli insediamenti coloniali ebraici e della Valle del Giordano l’ha promessa agli israeliani durante le ultime due campagne elettorali: è la sua eredità politica. E poi c’è il problema Joe Biden. L’ormai certo candidato democratico alle presidenziali Usa di fine anno si proclama un sincero alleato di Israele ma è contrario a mosse unilaterali e non negoziate. In questi giorni si è fatta più concreta la possibilità che Biden possa cacciare dalla Casa Bianca Donald Trump, stretto alleato di Netanyahu. Il premier israeliano quindi procederà all’annessione prima delle presidenziali Usa agendo allo stesso tempo con cautela.

 

Il quotidiano di destra Israel HaYom, ieri rivelava che il primo ministro attuerà l’annessione in due fasi: il 1 luglio proclamerà parte integrante di Israele solo alcuni degli insediamenti coloniali (più o meno il 10% della Cisgiordania); poi, dopo aver rivolto un invito ai palestinesi a negoziare sulla base del piano Trump, procederà all’annessione di tutte le altre colonie. La Valle del Giordano dovrebbe annetterla nella seconda fase o lasciarla in sospeso poiché in ogni caso Israele non rinuncerà mai a questa porzione dei territori palestinesi che ha occupato nel 1967. Netanyahu è convinto che riuscirà con il tempo ad ottenere il riconoscimento di fatto dell’Ue e della Giordania dell’annessione.

 

Netanyahu ha fatto i conti giusti con l’atteggiamento dei governi, non solo occidentali, verso le sue politiche. Dall’Ue arrivano ammonimenti, esortazioni a non infrangere il diritto internazionale ma Bruxelles non applicherà mai sanzioni contro Israele. Così come la Giordania non andrà oltre le parole di fuoco pronunciate ancora qualche ora fa da re Abdullah. Una rottura dei rapporti tra Amman e Tel Aviv è impensabile. Al contrario sale l’impegno della società civile internazionale e delle Nazioni unite e si moltiplicano in questi giorni le critiche al piano israeliano. Oltre 40 relatori ed esperti indipendenti dell’Onu hanno condannato l’annessione descrivendola come una rappresentazione attuale dell’apartheid sudafricano e una grave violazione della Carta delle Nazioni Unite. «Ciò che rimarrebbe della Cisgiordania (dopo l’annessione) sarebbe un Bantustan palestinese, terre scollegate (tra di loro), circondate da Israele e senza alcun legame territoriale con il mondo esterno», scrivono gli esperti in un documento diffuso martedì a Ginevra. Sottolineano che «Israele ha promesso che manterrà un controllo di sicurezza permanente tra il Mediterraneo e il fiume Giordano». Quindi, aggiungono, «la mattina dopo l’annessione avverrebbe la cristallizzazione di una realtà già ingiusta: due popoli che vivono nello stesso spazio, governati dallo stesso Stato ma con diritti profondamente diseguali. Questa è una rappresentazione dell’apartheid del 21esimo secolo». Coscienti che l’annessione unilaterale a Israele delle Alture del Golan avvenuta nel 1981 non ha provocato alcuna reazione internazionale concreta, esperti e relatori dell’Onu esortano a tenere conto «delle lezioni del passato», perché «le critiche senza conseguenze non impediranno l’annessione né porranno fine all’occupazione (dei territori palestinesi)».