È stato l’album della svolta pop, anticipatore di temi, musiche e sonorità che avrebbero caratterizzato la scena italiana nei dieci anni successivi e che avrebbe portato Franco Battiato due anni dopo – in mezzo il bello ma non risolutivo Patriots (1980) – al successo epocale di La voce del padrone (1981). Parliamo di L’era del cinghiale bianco, di cui ricorrono i 40 anni dalla pubblicazione ’celebrati’ in pompa magna dalla Universal con una riedizione rimasterizzata in cd con copertina inedita e nuova veste grafica, 16 brani con versioni demo e brani live e anche in vinile in 180 grammi (edizione limitata e numerata). L’idea da cui prese spunto il cantautore siciliano è il libro magico di René Guénon: Simboli della scienza sacra dove il cinghiale è un animale sacro e simbolo dell’autorità spirituale nella mitologia dei Celti. L’era del cinghiale bianco è quindi «l’era della conoscenza immediata». Tra i contenuti del disco esoterismo, spiritualità, l’amore per le filosofie dell’Oriente e la fascinazione dell’India. E ancora il tema della critica contro il potere temporale, della lotta tra l’alto e il basso.

MA CIÒ CHE BATTIATO realmente opera è una vera rivoluzione dal punto di vista strettamente musicale. Abbandona la sperimentazione di nuove forme sonore che aveva caratterizzato gli anni ’70 – l’Egitto prima delle sabbie (1978) con i suoi tempi dilatati e un fraseggio di pianoforte ripetuto ottiene persino una segnalazione al Premio Stockhausen – a favore di un sound melodico che affascina il grande pubblico. Sette pezzi per un disco dove trovano spazio tutti gli ingredienti che faranno de La voce del padrone un successo da oltre un milioni di copie vendute: il ritornello al violino del brano che intitola la raccolta, la provocazione di Magic Shop, la melodia classica e austera di Il re del mondo (bellissime le versioni successive di Alice e Milva).

E PROPRIO il contenuto di questa magica canzone induce alla riflessione sulla necessità della ricerca della propria via alla vera vita, alla vita consapevole. È il momento più alto dell’album. Roberto Colombo – che nel disco suonava le tastiere – ha un ricordo particolare di quelle registrazioni. «Conoscevo Franco dalla fine degli anni ’60 e, abitando nella stessa città ed incidendo, nei primi anni ’70, entrambi con etichette discografiche milanesi, ci capitò spesso di incontrarci e scambiare qualche idea. Angelo Carrara, manager e produttore di Franco dalla fine degli anni ‘70, non era del tutto soddisfatto del risultato delle registrazioni e gli propose di farsi affiancare da Alberto Radius e da me al fine di rendere il progetto più immediato, dal punto di vista ritmico e sonoro. Alberto ed io siamo intervenuti nella realizzazione dei singoli brani, rispettando tutte le armonie e i fraseggi strumentali, dando al tutto una concretezza maggiore, rispetto a quella che avevano le registrazioni effettuate da Battiato e Giusto Pio. Un progetto che, a distanza di quarant’anni, rimane affascinante».