«E quel canto parlava della Terra / dall’ampio petto, che, infelice madre, / nell’evo primo non facea che mostri, / orrendi enormi, e li tenea nascosti / in sé, perché non li vedesse il Cielo». Così Esiodo racconta la propria poesia in uno dei Poemi conviviali di Giovanni Pascoli, intitolato La notte (1904). Il canto a cui si accenna è la Teogonia, l’antichissimo poema sulle genealogie divine, di cui è pubblicata una nuova edizione, per gli Scrittori greci e latini della Fondazione Valla, a cura di Gabriella Ricciardelli (Esiodo, Teogonia, Mondadori, pp. XCIV-192, € 35,00).
In circa mille versi la Teogonia condensa molte storie e molto sapere sulle potenze divine, sviluppando un racconto che va dalle origini del mondo e le lotte primordiali fino al progressivo assestarsi dell’universo nell’ordinamento in cui l’uomo lo conosce, sotto il regno di Zeus. La Teogonia è un testo molto vario, e alcune sezioni sono particolarmente celebri. Come il proemio, che descrive la serena danza delle Muse apparse a Esiodo per «insegnare» a lui il canto: una scena di investitura che ebbe importanza capitale per lo sviluppo della poesia greca. O come quei racconti, che a un moderno appaiono orridi e in qualche aspetto «primitivi», come suggeriscono i versi di Pascoli. L’evirazione di Urano, così allettante persino per psicoanalisti alla ricerca di conflitti «edipici» (e anche archetipici), o la lotta degli dèi contro i Titani, o l’inganno di Prometeo che «fonda» la pratica dei sacrifici, sono storie (o miti) che hanno dato molto da meditare agli storici delle religioni e agli antropologi.
Altri studiosi sono attirati da quanto accomuna l’immaginario mitologico di Esiodo (e della Grecia antichissima) con certi poemi «orientali», nelle culture ittite o accadiche, comprese evirazioni e diluvi più o meno universali. Insomma, intorno alla Teogonia si muovono grandi questioni, che suscitarono l’interesse anche del giovane Nietzsche: tra i primissimi lavori del filologo fatto filosofo è la recensione a Die hesiodische Theogonie curata da G. F. Schoemann, uscita sul «Literarisches Centralblatt für Deutschland» il 25 Aprile 1868. Accanto a ciò, la Teogonia presenta anche lunghe e stranianti serie di nomi, elenchi di divinità, di fiumi, o di personificazioni più o meno allegoriche. Il cantore afferma di non poter riportare l’elenco completo delle Oceanine, ma solo evocarne il numero grandissimo: e qui si è ormai entro la «vertigine della lista» di cui parlò anni or sono Umberto Eco… Certo interessante è questo modo di poetare, che trova nel «Catalogo delle navi» dell’Iliade il modello più famoso. Oltre alla mnemotecnica c’è un sapere: molte liste sono organizzate secondo il principio della genealogia (come si vede nei vangeli di Matteo e Luca). Hanno dunque un carattere ordinatore, e giustamente Bruno Snell le paragonò anni fa a una sorta di «sistema di Linneo», finalizzato a collocare ogni forma e potenza del divino in un preciso e definito luogo, mentale o fisico.
Di fronte a tanto materiale, non stupisce che la ricerca sulla Teogonia sia stata abbondante: sicché oltre quaranta pagine di bibliografia seguono l’introduzione. Di Esiodo si è indagata la biografia, posto che siano attendibili le notizie da lui stesso fornite; della sua poesia si è discussa la genesi, valutando le compresenti tracce di cultura orale e di stesura scritta; del suo pensiero si sono scavati i complessi presupposti, riflettendo su alcuni temi di natura «filosofica». Centrale è apparso il rapporto con la tradizione della poesia tradizionale ellenica, a partire dalla discussa dichiarazione iniziale delle Muse: «sappiamo dire molte menzogne simili alla realtà / sappiamo però quando vogliamo cantare il vero». Il problema, naturalmente, è capire che cosa intendeva Esiodo con «vero» e «falso». Su questi e altri temi la curatrice informa nella sobria introduzione (pp. xi-lxiii) e nel commento. Il quale, ampio, e per certi aspetti esteso, è orientato verso la chiave storico-religiosa più che verso quella linguistica o storico-letteraria: del resto la Ricciardelli ha pubblicato nella stessa collana un’edizione degli Inni orfici (2006). La ricerca è accurata. Si citano talvolta lunghe liste di studiosi che hanno trattato di un certo problema, e l’intento dell’elenco è forse meta-esiodeo: ma dodici righe di bibliografia sul mito di Prometeo (in forma breve, nome-anno: pp. 155-56) non sono forse così utili, in assenza di una guida alla lettura dei lavori citati. Su alcune questioni, come la «misoginia» tradizionale di Esiodo, nella Teogonia come nelle Opere, la discussione è per le esigenze odierne troppo parca. Va da sé che un commento non può essere esaustivo, e che qualcosa è destinato a restare pur sempre in minore evidenza. Tuttavia spiace pure che sia ridotto lo spazio riservato alla «ricezione» del testo. Gioverebbe al lettore, specialmente se non provetto antichista, una più ampia campionatura delle riprese formali o concettuali da Esiodo per capire quanto influente fu la Teogonia: nella cultura antica l’interesse per i moralismi delle Opere e i giorni fu grande.
Anche un panorama ragionato della «fortuna» poteva giovare: la storia dell’interpretazione dell’opera ricapitola le grandi fasi del ripensamento critico del mondo antico. Anche per Esiodo c’è stata una fase «analitica», in cui i filologi hanno ricercato «stratigrafie compositive» o intrusioni apocrife nel testo; ma c’è stata anche la fase «strutturalista», per indagare i meccanismi dei miti, oppure quella «oralista», per studiare la dizione poetica di Esiodo in rapporto con gli altri testi della tradizione ellenica. Non mancano certo gli strumenti per recuperare questo e altri aspetti suggeriti dal testo: per esempio i Companions, l’ultimo dei quali uscito troppo tardi perché se ne potesse render conto nel volume (The Oxford Handbook of Hesiod, a cura di A. Loney e S. Scully, 2018).
Il testo greco si appoggia a edizioni precedenti, con qualche intervento. La traduzione mantiene alcune durezze caratteristiche dello stile di Esiodo, e in qualche caso la fedeltà all’originale conduce a risultati non felici, e non solo per alcune ardue inversioni (che ricordano i modi di Rosa Calzecchi Onesti per Omero). Quando si rende per esempio «per questo i re sono saggi, perché a gente / danneggiata sulla piazza danno riparazione», si suggerisce qualcosa in comune tra i re e i carrozzieri o elettrauto: il che non risulta, per dire, dalla traduzione di Graziano Arrighetti («perché alle genti / offese danno riparazione nell’assemblea»). Varie sono le edizioni italiane di Esiodo già disponibili, alle quali sarà tuttavia da rivolgersi, e in paarticolare a quella dello stesso Arrighetti (Einaudi «Biblioteca della Pléiade», 1998) anche per un più disteso approccio alle complicate questioni implicate dalla Teogonia. Opera che si può accostare in tanti modi. Anche partendo da Leopardi. Il quale, presentando il proprio saggio di traduzione della lotta contro i Titani (1817), notava che la Teogonia è una «mora di nomi» non sempre «poetica», ma che nella Titanomachia Esiodo regge la misura del sublime:«Il terribile, oltreché facilmente si cangia in ridicolo, percuote di primo lancio gagliardissimamente l’animo del lettore; e le vivissime commozioni non durano quasi mai, perché colui presto si stanca, e il poeta ha bel seguitare, che egli già raffreddato sta sodo e lo lascia ire avanti. Però è maraviglioso com’Esiodo ci trascini dietro alla fantasia per tanti versi, e ci sforzi a inorridire, finch’e’ vuole, avendo già sul bel principio data tanta veemenza all’orrore». Ecco.