Inutile ricordare che The French Connection è il titolo originale di Il braccio violento della legge di William Friedkin visto che French Connection era il nome del filone d’inchiesta che indagava sull’esportazione di eroina francese verso gli Stati uniti. D’altronde il film di Cédric Jimenez è il controcampo del capolavoro friedkiniano: dalle strade di New York si passa a quelle di Marsiglia da dove l’eroina prende il largo verso gli Usa. Come in un poliziesco di Damiano Damiani, Jimenez pone al centro della vicenda il giudice Pierre Michel (Jean Dujardin) chiamato a stroncare – ma non troppo – il narcotraffico che ha reso la città invivibile.

Chi tiene le fila del traffico è Gäetan Zampa (Gilles Lellouche), detto Tany, mafioso d’origine italiana che intrattiene ottimi rapporti con il milieu corso (sbirri corrotti compresi) evitando saggiamente di mostrarsi troppo avido nella ripartizione dei profitti. Dujardin, però, come il Franco Nero dei film di Damiani, è un testardo rompiscatole che non molla la presa. E presto i suoi superiori si pentono pentirsi di avergli affidato l’incarico.

Ispirato alla figura del giudice Pierre Michel, assassinato il 21 ottobre 1981 a cavallo della sua Honda sul boulevard Michelet a Marsiglia con tre proiettili 9mm sparati da una Parabellum, La French (titolo originale) è un corretto film d’azione che se da un lato omaggia il cinema civile italiano, dall’altro sembra guardare dichiaratamente all’indietro verso i classici polar diretti da Henry Verneuil, Yves Boisset o Georges Lautner. Ovviamente Jimenez non può ignorare nemmeno che nel frattempo di acqua sotto i ponti del cinema di genere ne è passata tantissima e che la lezione dei cloni di Luc Besson ormai è stata assimilata ed è diventata a suo modo parte del canone.

Quindi ottima ricostruzione ambientale e gangster che sembrano avere visto in una mese vent’anni di cinema noir tanto fanno i… gangster. Dujardin e Lellolouche, simboli del popolo hétéro-beauf, di nuovo insieme dopo Piccole bugie tra amici e Gli infedeli, piuttosto che sbarazzarsi della loro aura divistica, ci giocano, ma non sempre funziona. Se la cavano molto meglio, Céline Sallette, nel ruolo decorativo del moglie lagnosa di Michel e Bruno Todeschini in quello del banchiere. Benoît Magimel, invece, interpreta il Matto ossia Jacques Imbert, noto anche come Jacky Le Mat, cui Richard Berry ha dedicato L’immortale (2010) affidando il ruolo del protagonista a Jean Reno.

La French risulta così poco più di un onesto esercizio di stile, prevedibile nella sua scansione narrativa, che riserva gli unici momenti di interesse autentico quando entra in scena Gaston Deferre (Féodor Atkine), sindaco di Marsiglia che Mitterand nominerà ministro degli interni. Certo Jimenez non è Jean-Claude Izzo è la denuncia della corruzione politica marsigliese, con i suoi intrecci altolocati, resta inerte come una notazione di colore ambientale sprecata considerato che lo spettatore avvertito intuisce i rapporti di forza in campo e comprende che i giorni del giudice Michel sono contati.