La barbarie in corso in Libia è riassunta nei numeri dati l’altro giorno dalla Missione Onu nel paese nordafricano (Unsmil): l’escalation militare tra il Governo di Accordo Nazionale (Gna) di Tripoli e l’autoproclamato Esercito nazionale libico (Enl) guidato dal generale Haftar ha ucciso 106 civili (252 i feriti) soltanto tra aprile e giugno di quest’anno. Rispetto ai primi 3 mesi del 2020, in termini percentuali vuol dire un incremento dei decessi del 65% e del 265% dei feriti. La prima causa di morte è rappresentata dai combattimenti sul terreno (69 le vittime), seguita poi dai raid aerei e dalle mine lasciate dall’Enl nelle fasi di ritiro dal fronte della Tripolitania (ovest del Paese), fulcro delle operazioni belliche degli ultimi 14 mesi.

Il maggior responsabile delle uccisioni di civili è Haftar, i cui uomini, in 7 dei 9 casi registrati, non hanno risparmiato attacchi alle strutture sanitarie e per ben 9 volte hanno preso di mira le scuole. Ma neanche il Gna è immune dai massacri: lo studio documenta il raid compiuto dalle sue forze sulla città di Qasr Bin Ghashir lo scorso 3 giugno. Le vittime furono allora 17 (4 erano bambini).

Ma l’orrore di questi numeri è parziale perché la situazione resta tesa sul terreno: in ballo c’è ancora la città di Sirte a metà strada tra Tripoli e
l’orientale Bengasi (centro strategico perché apre alla Mezzaluna petrolifera libica) e la base aerea di al-Jufra, «linee rosse» per l’Egitto che ha
recentemente approvato anche in parlamento l’invio di soldati qualora dovessero essere oltreppassate dagli «aggressori turchi» che sostengono il Gna. Da settimane i due schieramenti mantengono una fragile tregua al fronte, ma accumulano mezzi di guerra.

E soprattutto mercenari stranieri. La novità delle ultime ore proviene dallo Yemen: secondo alcuni siti web arabi, citati anche dal portale Middle East Eye, sarebbero almeno 200 i combattenti yemeniti impegnati sul suolo libico. Appartenenti alla milizia della Resistenza popolare collegata al partito Islah (ramo yemenita della Fratellanza Musulmana), questi mercenari sarebbero allettati dalle prospettive di guadagno in Libia (2.500 dollari al mese), rispetto ai soli 76 mensili che ricevono sul fronte interno contro i ribelli sciiti houthi.

Gli yemeniti andrebbero ad aggiungersi a quelli provenienti dalla Siria (l’Osservatorio siriano ne calcola più di 10.000), a qualche centinaio di
sudanesi e ai poco più di 1.200 russi del gruppo Wagner (Mosca nega però qualunque legame con loro) schierati con Haftar. Nell’incapacità della diplomazia internazionale di trovare soluzioni politiche al conflitto, prova a ritagliarsi un po’ di visibilità l’Arabia Saudita. Il suo ministro degli esteri Bin Farhan ha visitato negli ultimi 5 giorni Egitto, Algeria, Tunisia, Marocco, chiudendo ieri il suo tour a Parigi dove ha incontrato il suo pari francese Le Drian. Obiettivo: non solo rafforzare il ruolo di Riad nella risoluzione della crisi libica e contrastare i rivali turchi, ma anche unificare le
posizioni dei 4 paesi arabi in parte conflittuali sul dossier Libia.

Ad essere fonte di ulteriori preoccupazioni per i civili libici è l’aumento dei contagi da Coronavirus: 250 soltanto il 30 luglio, il dato più alto da quando il virus è apparso nel Paese lo scorso marzo. Al momento i casi confermati totali di Covid-19 nel Paese sono 3.222, 76 le vittime. La risposta di Tripoli è stata immediata: da ieri, per almeno 5 giorni, è stato imposto il blocco delle attività e il divieto di qualsiasi spostamento tranne per l’acquisto di beni di prima necessità. Coprifuoco parziale tra le 21 e le 6.