«Fu solo quando mi trasferii a Manhattan, alcuni anni fa, che compresi con improvvisa chiarezza fino a che punto l’esperienza dell’11 settembre 2001 fosse stata diversa per i newyorkesi rispetto a chi aveva seguito la tragedia a distanza. Iniziai quasi subito a pensare a Londra e all’attacco aereo sferrato dai tedeschi tra il 1940 e il 1941, e mi chiesi come la popolazione fosse riuscita a sopravvivere: cinquantasette notti consecutive di bombardamenti, seguiti nei sei mesi successivi da una serie sempre più intensa di raid notturni».

Erik Larson è un giornalista statunitense, collaboratore delle più note testate del Paese, che da oltre vent’anni ha scelto di ripercorrere alcune delle pagine più importanti, anche se talvolta poco raccontate, della Storia. Lo ha fatto con il piglio e l’amore per le ricerche dello storico e, al tempo stesso, con lo stile e l’attenzione ai dettagli del narratore. Esito di questo percorso, una mezza dozzina di volumi che si leggono come romanzi anche se sono costruiti a partire da fonti e documenti ufficiali o scovati in ogni sorta di archivio. Un lavoro che può essere paragonato per certi versi a quello di Scurati su Mussolini o, almeno in parte, al Limonov di Carrère.

Erik Larson
Dopo essersi misurato, a partire dalla fine degli anni Novanta, con l’uragano che colpì le coste del Texas nel 1900, Il tifone di Galveston (Garzanti), le vicende dell’ambasciatore americano nella Berlino nazista, Il giardino delle bestie (Neri Pozza), un crimine che incrocerà il percorso dell’inventore della radio, Guglielmo Marconi e l’omicidio di Cora Crippen (Neri Pozza), l’affondamento del transatlantico Lusitania nel 1915, Scia di morte (Neri Pozza) e aver raccontato in parallelo, in quello che resta fino ad oggi il suo capolavoro, premiato nel 2014 con l’Edgar Award in the Best Fact Crime, la realizzazione dell’Esposizione Universale di Chicago del 1893 e le gesta di un feroce serial killer, Il diavolo e la città bianca (Neri Pozza), Larson racconta nel suo nuovo libro la campagna di distruzione condotta dalla Luftwaffe contro la Gran Bretagna, e in modo particolare Londra, tra l’estate e l’autunno del 1940, passata alla Storia come «battaglia d’Inghilterra».

In Splendore e viltà (Neri Pozza, pp. 700, euro 22, Raffaella Vitangeli) al centro della scena ci sono gli abitanti delle città inglesi che raccontano nei loro diari il terrore quotidiano in cui sono immersi e il politico che ha incarnato quella stagione di mobilitazione generale e resistenza, Winston Churchill, primo ministro dal maggio del 1940 al luglio del 1945. Non il Churchill simbolo della cultura imperiale britannica le cui statue i manifestanti antirazzisti vorrebbero oggi abbattere, ma la figura che seppe riunire il Paese in uno dei momenti più difficili della sua storia e che schierò nettamente Londra contro la minaccia nazista, cercando anche in ogni modo di convincere gli Stati Uniti ad entrare nel conflitto ben prima di Pearl Harbor (7 dicembre 1941). Un’opera dove accanto al peso delle grandi scelte del momento, il clima politico descritto anche dal regista Joe Wright in L’ora più buia (2017), si respira in ogni pagina la consapevolezza di una fine possibile e imminente, il desiderio di sopravvivere ad ogni costo, mentre si procede ad ogni passo tra lo scricchiolio di migliaia di vetri andati in frantumi a causa dei bombardamenti e la polvere delle macerie che ricopre ogni cosa.

Tra le fonti cui ha attinto per questo libro ci sono i diari del Mass Observation Archive che era stato fondato solo due anni prima dello scoppio della guerra. Che tipo di materiali e memorie raccoglie?
Si trattava di un’organizzazione che aveva reclutato centinaia di volontari affinché tenessero un diario giornaliero per aiutare i sociologi ad acquisire un’intima comprensione della vita quotidiana britannica. I volontari venivano spronati ad affinare la propria capacità di osservazione descrivendo gli oggetti presenti sulla mensola del proprio camino o su quello dei loro amici. Così, quando scoppiò la guerra, molti continuarono a redigere questi diari che sono pieni di dettagli su come hanno affrontato quel periodo drammatico ma anche su come tiravano avanti ogni giorno, cosa accadeva nelle loro famiglie o al lavoro. Messe insieme, tutte queste memorie individuali spalancano una finestra su come un intero paese affrontò la guerra.

Malgrado sarà poi sconfitto dai laburisti a guerra finita, Churchill appare come una figura molto amata dagli inglesi durante il conflitto. Il modo in cui parlava ai suoi concittadini, le sue visite nei luoghi bombardati, il suo stile personale: a cosa si doveva tale popolarità?
Era un uomo profondamente compassionevole, che non aveva paura di mostrare emozioni in pubblico, e così si guadagnò rapidamente l’affetto di molti. Non di tutti, ovviamente, ma di molti. Possedeva ottime capacità di leadership, come il saper aiutare le persone a trovare il coraggio in sé e a sentirsi parte della storia britannica. Capiva anche che in simili momenti doveva essere il più schietto possibile. Iniziava i suoi discorsi con una valutazione sobria della situazione, quindi forniva un motivo concreto di ottimismo. Conosceva il modo per spingere le persone all’azione.

La figura di Churchill è oggetto di molte critiche per le sue posizioni in linea con l’imperialismo britannico e con il razzismo dell’epoca. Quello che ha fatto schierando il Paese contro i nazisti compensa queste ombre?
In fondo Churchill era un imperialista del XIX secolo, con tutto ciò che ne consegue. Nel corso della sua vita ha detto cose orribili su altre culture e etnie. Non ci sono dubbi al riguardo. Ma, tra il 1940 e il 1941 fu decisamente l’uomo del momento in Gran Bretagna. E personalmente volevo capire, e raccontare, come è sopravvissuto a quell’anno terribile e come ha aiutato l’intera Gran Bretagna a sopravvivere. Lascio ad altri il compito di discutere su come bilanciare tutto ciò con gli aspetti più sgradevoli della sua vita che sono evidenti.

Una caricatura di Winston Churchill
In attesa degli attacchi aerei tedeschi, tra i britannici furono distribuite oltre 35 milioni di maschere antigas e in molti pensarono al suicidio di fronte alla prospettiva, allora considerata imminente, di un’invasione nazista. Senza fare paragoni diretti, il senso di smarrimento e di paura che attanagliava gli inglesi in quel momento ci dice qualcosa del clima che si è imposto ora a causa della pandemia?
Dopo che la pandemia è arrivata anche negli Stati Uniti è accaduto qualcosa che mi ha colpito profondamente: più di un lettore mi ha detto di aver trovato una sorta di conforto nel libro, percependo quanto avevano vissuto gli inglesi durante i bombardamenti come una condizione molto simile alla propria in questo momento. E che gli dava coraggio l’idea che gli inglesi fossero stati in grado di superare giorni così incredibilmente bui. Allo stesso tempo, più d’uno mi ha fatto notare che trovava rassicurante che all’epoca vi fosse una leadership determinata come quella di Churchill invece che l’assenza e i disastri compiuti dall’amministrazione Trump nei confronti del Covid.

Londra, una donna soccorsa durante i bombardamenti
A partire da «Il diavolo e la città bianca», dove la modernità sembra avere il volto di un assassino seriale, lei affronta la Storia attraverso le sue contraddizioni e i tanti lati in ombra da rivelare. In questo caso?
Potrei dire che Splendore e viltà ha invece un percorso lineare, dove accanto alle memorie degli inglesi comuni emerge la figura di Churchill, ma anche quelle spesso ignorate nelle biografie ufficiali di sua figlia Mary, sua nuora Pamela e del suo segretario privato John Colville. Però è vero, anche in questo libro cerco di catturare un elemento parallelo più oscuro, così ho alternato la descrizione di quanto accadeva a Londra con il modo in cui i tedeschi leggevano quel clima e l’atteggiamento dei loro nemici e l’ho fatto attraverso le pagine del diario di Joseph Goebbels.

Quale è il rapporto tra la storia e la letteratura nel suo lavoro?
Cerco di scrivere di eventi storici in modo tale che i lettori li vivano come facevano le persone in quel momento, senza conoscere prima come andrà a finire. Riguardo a questo libro, il commento migliore l’ho avuto da chi mi ha detto che leggendolo si è immerso talmente nella vicenda, condividendo paure e speranze con gli inglesi che cercavano di sopravvivere in mezzo alle bombe, da dimenticare come la guerra fosse andata effettivamente a finire. Ciò significa che ho fatto bene il mio lavoro.