È una sorta di viaggio nelle mutazioni del linguaggio fotografico la mostra The Many Lives of Erik Kessels. Il fotografo, designer e curatore olandese ricontestualizza e da nuova vita a immagini trovate nei mercatini delle pulci, negli album di famiglia, negli archivi fotografici (scientifici, polizieschi, industriali), nei blog. Non si tratta però di un azione di appropriazione, come accadeva con la fotografia postmoderna di Richard Prince o Sherry Levine, quanto di trovare la narrazione sottesa a quelle images trouvées, in cui il recupero del prosaico e del marginale svela aspetti inattesi del reale. La Found Photography determina infatti nuove pratiche espressive in grado di ridefinire i concetti di autore, archivio e memoria. «Quello che mi interessa non è l’immagine in sé, quanto la narrazione presente in ogni singola immagine, che diventa il punto di partenza per indagare storie private e istanze collettive» afferma Kessels.

Il percorso espositivo della mostra, ospitata a CAMERA – Centro Italiano per la Fotografia – a Torino, fino al 30 luglio, non segue una timeline storica. Più di trenta le serie fotografiche, oltre a riviste, libri e grandi installazioni presentate accanto a opere più intime e private. 24hrs of Photos è la sua installazione più celebrata, composta da una montagna di foto ammassate in cui ha raccolto e stampato tutte le immagini caricate su Flickr, Facebook, Instagram e nei motori di ricerca, nell’arco di una giornata. Se 24hrs of Photos visualizza la bulimia iconografica contemporanea, altre opere provengono da archivi famigliari, per delineare una cartografia della memoria e fornire una visibilità altrimenti negata a immagini private. In almost every picture #2 presenta le fotografie di una Mercedes riprese in diversi paesi europei, al cui interno è seduto un anonimo passeggero. Piene di fascino e mistero compongo il racconto visivo dei luoghi visitati da una donna disabile, che a causa della inabilità preferiva essere ripresa in quel modo dal taxista che l’accompagnava e che ha conservato le immagini. La storia di Ria van Dijk è stata raccontata dai ritratti che le sono stati regalati ogni volta che ha colpito il bersaglio di un poligono di tiro. Una biografia che inizia nel 1936 e prosegue fino ai giorni nostri, restituita da un punto di vista inusuale che testimonia sia l’epoca in cui ha vissuto, sia l’evoluzione dei supporti fotografici nel corso dei decenni.

Negli album fotografici della propria famiglia Kessels ha invece isolato gli individui che sono stati accidentalmente ripresi. Strangers in My Photoalbum è il titolo della serie, in cui presenze anonime diventano parte della sua memoria famigliare, visto che ne fanno parte, anche se non ne hanno la consapevolezza. È invece Oolong, il coniglio giapponese la cui testa dalla forma piatta gli permetteva di tenere in equilibrio qualsiasi oggetto, il soggetto del pionieristico blog fotografico di Hironori Akutagawa, che dal 1999 al 2003 ha trasformato Oolong una star del web.

«L’archeologia visuale mi interessa molto- precisa Kessels -. Forse il futuro della fotografia è proprio questo, non quello di comporre delle belle immagini, è talmente facile oggi farlo, quanto cercare la storia e la motivazione che determina ogni scatto fotografico. Ho pubblicato oltre 60 libri ma la mia ricerca continua, sono ancora tante le storie e le immagini da indagare e raccontare».