Già dai titoli l’ascoltatore è invitato a fantasticare mondi magici, a lasciarsi afferrare dalla suggestione di atmosfere sonore insieme misteriose e accattivanti: Sortilèges (1981), Olicantus, Shadowlines (2001). L’olicanto è l’olio di canapa estratto a freddo. Sortilegi e linee d’ombra sono immediatamente evidenti. Ma line, in inglese, è anche il verso. Quindi le linee possono essere i versi di un poeta. Gli anni di composizione vanno dal periodo d’oro delle neoavanguerdie al loro declino e all’affiorare del postmoderno. Gli altri brani di questo gradevolissimo cd (sia detto senza far storcere il naso ai puristi dell’ascetismo avanguardistico) hanno titoli più tradizionali, Three Studies for piano (1982-1985), Piano Sonata (1978). Si tratta di due cd: George Benjamin, Complete Piano Works. Erik Bertsch, piano. PIANO CLASSIC-Brilliant Classics PCL 10287, 2 CD, € 23,40. Che l’ascolto risulti gradevole dà il senso di questa musica. È un ascolto, infatti, che libera da molti pregiudizi, primo tra tutti che la musica del novecento sia ardua, se non addirittura insopportabile all’ascolto. Che manchi di melodia riconoscibile. Di armonia seducente. Ma la melodia, già in Debussy non ha quasi mai il respiro di una lunga melodia romantica. E l’armonia cammina per strade nuove, ma non per questo astruse. Benjamin è stato poi allievo di Messiaën. Ha dunque imparato a inventare nuove impostazioni della melodia, nuove combinazioni dell’armonia. La sua musica segue di pochi anni Structures di Boulez (1952-1961), i Klavierstücke (1955-1979) di Stockhausen, degli ultimi è anzi coeva, la Sequenza IV di Luciano Berio (1966), ed è composta, una parte, quella che va dagli anni ’80 al 2001, negli stessi anni degli Studi di Ligeti (1985-2001).

Tuttavia, da subito, dalla dura, ardua Sonata, composta da un Benjamin appena diciottenne, e forse memore della Deuxième Sonate di Boulez, che però è di 30 anni prima, questa musica offre all’ascoltatore un dato inusitato, o che si suppone inusitato, nelle musiche delle avanguardie: melodie, armonie, ritmi sono immediatamente riconoscibili e memorizzabili. Il brano acquista così una continuità d’ascolto che lo rende inconfondibile. L’interesse, però, di questa continuità per così dire tematica (ma è invece piuttosto la riconoscibilità di un ritmo, di una figura melodica, di un colore armonico), sta nel fatto che non vi si riscontra nemmeno un’ombra – per restare nella metafora del compositore, Shadowlines – di nostalgia e quindi di riassunzione di sistemi melodici e armonici che le avanguardie avevano o hanno creduto di avere liquidato. È invece, quella di Benjamin, una musica che si appropria delle avanguardie per oltrepassarle. Per riacquistare la riconoscibilità della musica già al solo ascolto. L’effetto è, come chiunque può sperimentare, accattivante. Sono veramente poesie musicali, ritratti istantanei, ombre di un’impressione immediata, figure sonore che si fissano nella memoria: Shadowlines, appunto. O sortilegi che evocano atmosfere fiabesche. Quanto agli Studi, ora prevale un ritmo, il giambo, ora la stenografia di un nome, Haydn, ora la frenesia di una danza, il rag. Nella giovanile Sonata, invece, si percepisce l’ascolto di una traiettoria che dai contrasti classici conduce alla sperimentazione delle avanguardie. In questo multiforme, variegatissimo mondo sonoro, Erik Bertsch, il pianista, si muove non solo con lucida padronanza e limpido virtuosismo nella decifrazione di pagine difficilissime, ma restituisce anche il pensiero musicale che via via dà forma ai brani: la musica sembra svolgersi all’ascolto con la precisione di una partitura sfogliata sotto gli occhi. Ma poi, proprio per questa precisione della lettura, ogni particolare assume un’evidenza emotiva, comunica la fantasia, il sogno, l’emozione che il compositore vuole evocare. Lo strumento che compie il miracolo è il tocco: la varietà dinamica attua con chiarezza il movimento, segue il percorso delle figure musicali, e l’ascoltatore comprende il senso di ciò che sta ascoltando.